Un Maid Cafè cambia la vita. Ma non lo Shemisen
La poliedricità del cinema giapponese rispecchia lo stesso equilibrio tra tradizione e modernità tipico della vita nel paese del sol levante, il paese dai mille contrasti; equilibrio che ritroviamo in Ito di Yokohama Satoko, in concorso alla 23ª edizione del Feff.
In quello che è sostanzialmente un racconto di formazione adolescenziale, tratto da un romanzo del 2011 di Koshigaya Osamu, la regista ci porta ‘a casa’, cioè nella sua città natale, Aomori, per farci scoprire un Giappone ancora diverso, con un proprio dialetto, quello della penisola Tsugaru, ed una propria tradizione: lo Tsugaru è infatti la patria dello shemisen, tipico strumento musicale a tre corde in legno di sandalo rosso e pelle.
La protagonista Ito è interpretata dalla brava Ren Komai, che per questo film ha voluto imparare a suonare lo shemisen, altro punto di contatto tra tradizione e modernità tutto nipponico; la storia è incentrata però non sulla musica, come si potrebbe erroneamente pensare dalla locandina, ma piuttosto sulla crescita e formazione della giovane Ito, orfana di madre, che vive ad Hirosaki, nella prefettura di Aomori, con il padre insegnante e la nonna, suonatrice di shemisen, da cui ha imparato l’arte semplicemente osservandola.
Ito è una ragazza schiva, con problemi di comunicazione; la sua vita cambia quando trova un annuncio per un lavoro in un maid cafè nella vicina città di Aomori. Molto diffusi nella capitale, i Maid Cafè sono sostanzialmente ‘bar a tema’; l’ambientazione tipica appare quella di una casa padronale del 1800 mentre le maid, cioè le domestiche, vestite in modo impeccabile con trine e merletti sull’abito corto e con le maniche a palloncino, accolgono gli avventori chiamandoli deferentemente “Master” (padrone) se è un uomo e “Princess” (principessa) se è una donna ed ingaggiando con loro scambi rituali di battute sdolcinate (ad esempio, Moe moe kyun è un “incantesimo” atto a migliorare ulteriormente il sapore di cibo e bevande). Descritti a volte come i ‘fratelli poveri’ degli host club, che hanno, in molti casi, una valenza sessuale, i Maid Cafè sono un luogo di intrattenimento di altro tipo, non a caso frequentato anche da famiglie e bambini. L’equivoco però rimane per chi è meno aperto al nuovo ed al diverso; è così che il padre di Ito entrerà in conflitto con la figlia. Conflitto che porterà la giovane finalmente a reagire, uscendo dal suo guscio, in difesa del suo lavoro e dei suoi colleghi-amici del Maid Cafè, in cui Ito ha trovato una famiglia diversa che le ha permesso finalmente di realizzarsi: Sachiko Kasai (Kurokawa Mei), Tomomi Fukushi (Yokota Mayuu), Yuichiro Kudo (Nakajima Ayumu). Insieme, e con l’aiuto della clientela più fedele, i quattro permetteranno al Maid Cafè di rinascere come l’araba fenice dalle ceneri dell’incendio causato dall’inatteso arresto del proprietario. E la nuova Ito troverà infine la forza di esprimersi ed esprimere se stessa con la sua musica, in un commovente concerto di maid shemisen.
Un racconto, quello di Ito, tipico dei seishun eiga (“drammi adolescenziali”), in cui un’adolescente con difficoltà relazionali si ribella contro la sua famiglia e cambia la sua vita, descritto con tocco delicato ed una minuziosa cura dei particolari dalla regista, dalle ambientazioni ai costumi alla musica; ma è la bravura degli interpreti a rendere l’ensemble speciale; la ragazza madre Sachiko, che Ito percepirà come sostituta della madre, la collega maid e disegnatrice di manga Tonomi, il gentile e schivo barista Kudo, la compagna di scuola ed amica Aoki, ma soprattutto il padre Koichi (Etsushi Toyokawa) e la nonna, che hanno ricreato perfettamente l’atmosfera di una famiglia in cui il lutto della perdita della madre, moglie, figlia, non è stato elaborato, bloccando ognuno nel suo microcosmo di dolore, fino alla liberazione finale tra maid e shemisen.
Michela Aloisi