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Les Enfants rouges

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VOTO: 8

Il corpo mancante

Tra le proiezioni che più hanno lasciato il segno e scosso emotivamente il pubblico della 73esima edizione del Trento Film Festival, laddove è stato presentato nella sezione “Anteprime” successivamente a una serie di tappe nel circuito festivaliero internazionale che l’hanno visto transitare da Locarno 2024 in poi anche a Torino nel concorso del Sottodiciotto Film Festival & Campus 2024, c’è sicuramente quella di Les Enfants rouges.
Del resto non poteva essere altrimenti per un film firmato da un artista come Lotfi Achour, che non ha mai perso l’occasione per scuotere le coscienze e fare luce su fatti e persone sui quali erano calate le tenebre del silenzio. I suoi lavori precedenti, come il cortometraggio Law of Lamb e il lungometraggio d’esordio Burning Hope in tal senso hanno dimostrato il suo impegno nel volere raccontare storie che non sono mai state raccontate o che non dovevano essere raccontate, in quanto scomode o coperte da un velo spesso di omertà. Probabilmente la tragedia vissuta da giovanissimo sulla propria pelle all’interno della cerchia familiare e gli studi di giurisprudenza, precedenti alla scelta di intraprendere il percorso di produttore, attore e regista, hanno fatto maturare in lui la decisione di narrare vicende scomode e di farsi veicolo, attraverso l’audiovisivo e il teatro, la recitazione e la direzione, di argomentazioni dal peso specifico elevato e rilevante come gli eventi traumatici, la resilienza e la disparità sociale. Tematiche, queste, che ritroviamo anche in questa seconda pellicola ispirata a un terribile fatto di sangue realmente accaduto nel novembre del 2015 sul Monte Mghila, una regione estremamente povera e isolata nel nord-ovest della Tunisia. Qui un gruppo jihadista aggredì due giovanissimi pastori, decapitandone uno. Al sopravvissuto, il tredicenne Achraf, l’ingrato compito di portare alla famiglia la testa mozzata di suo cugino Nizar come macabro messaggio di avvertimento. Traumatizzato e cercando di non perdere la ragione, Achraf scopre che il fantasma di suo cugino lo sta seguendo e che sembra deciso ad accompagnarlo nel suo lutto. Ma una volta confrontato con l’impotenza dei suoi anziani che le autorità hanno abbandonato, Ashraf è diviso tra il suo desiderio di trattenere Nizar un po’ più a lungo e il suo dovere di guidare gli uomini della famiglia nella montagna per aiutarli a recuperare il corpo per seppellirlo con dignità.
Les Enfants rouges parte da un fatto di cronaca nera per parlare di bisogno di giustizia, dell’assenza dello Stato, dell’abbandono e dell’isolamento avvertiti dalle comunità rurali di fronte al terrorismo e alle macchinazioni politiche, sottolineando l’impatto sinistro del regime jihadista in regioni in cui le vittime sono spesso civili minorenni.Il ché ne fa un film dal messaggio politico molto forte, che affonda senza esitazione gli artigli in questioni, dinamiche e argomentazioni difficili da trattare proprio per la complessità e gli interessi che vi sono dietro. Achour se ne fa carico senza timori reverenziali e senza scendere a compromessi, portando sul grande schermo un’opera emotivamente impattante che per coinvolgere e attirare l’attenzione su di sé e sulla storia drammatica che narra non deve giocoforza passare per pratiche di sfruttamento e spettacolarizzazione del dolore.
Il regista di Tunisi sceglie un’altra strada e la percorre fino alla fine, trasponendo in chiave fantastica la cronaca più cruenta di un atto barbarico. Ed è con tale approccio e con il conseguente modus operandi che dona vita filmica e sostanza narrativa e drammaturgica a un’opera che con grande equilibrio e misura nel tatto, uniti alla chiarezza d’intenti, celebra la capacità infantile di superare i traumi attraverso l’immaginazione. Lo fa con lampi poetici e parentesi oniriche che squarciano e illuminano l’orrore di fondo con quello che è comunemente chiamato realismo magico. In questo modo l’autore, con la complicità della fotografia cangiante e camaleontica di Wojciech Staroń, accompagna i tormenti psicologici di Ashraf e i momenti tremende che seguono la feroce aggressione iniziale. Il tutto messo in quadro con autorevolezza e una regia esteticamente e tecnicamente funzionale al racconto, che esalta e a sua volta si arricchisce delle intense e partecipi performance del folto gruppo di interpreti, dove spicca uno straordinario Ali Helali nei panni di Ashraf.

Francesco Del Grosso

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