Le apparenze borghesi
Il tradimento di coppia è un tema che ha fecondato moltissima letteratura, sia quella di alto lignaggio letterario e sia quella di mero consumo. In particolare in questo secondo tipo di produzione, a cui si può sommare la creazione dei fotoromanzi, ha ottenuto maggiori consensi di vendita, perché i raccontini o i romanzi proposti narravano sempre un tradimento manicheo, in cui i lettori potevano facilmente immergersi, provando odio o empatia per i personaggi. Ma non va dimenticato che il tradimento è anche uno dei temi prediletti del gossip scandalistico, uno di quegli argomenti che fanno vendere bene le riviste, perché fanno leva sull’insaziabile curiosità dei lettori. Tale stuzzicante e lucroso soggetto inevitabilmente ha anche alimentato, sin dalle origini, molte pellicole, realizzate con le più disparate sfumature narrative. Stilare una lista, anche inserendo solamente le “migliori” che hanno affrontato questo assunto, sarebbe dispersivo, però si può evidenziare come il tradimento di coppia sia stato sviluppato con toni – inevitabilmente – drammatici, con ritmi da commedia o con umori prettamente comici, ma anche come base per una storia thriller.
In questo ampio genere, in cui il tradimento è stato raccontato e mostrato in tutte le salse, ecco che si aggiunge alla massa Les apparences (2020) di Marc Fitoussi, presentato al 30º Noir in Festival. Il primo grosso rischio che incorre un autore quando vuole affrontare un tema molto abusato, è quello di raccontare qualcosa di già raccontato, e a volte già descritto con risultati migliori. Da questo scivoloso punto di vista Fitoussi riesce a smarcasi dall’insidioso pericolo, e porre un interessante nuovo tassello cinematografico nel mare magnum del tradimento di coppia. Tratto dal romanzo “Tradimento” (Svek, 2003) della svedese Karin Alvtegen, la trasposizione è stata realizzata dallo stesso Fitoussi. Quello che interessa, prima di addentrarsi alle qualità de Les apparences, è la connessione tra quest’opera e quelle precedenti del regista, perché Fitoussi ha intagliato, usufruendo del romanzo di partenza, un altro vivo ritratto femminile che si somma a quelli precedenti. Il regista francese si può facilmente definire come un regista di donne, ed Ève, ben interpretato da Karin Viard, è un personaggio a tutto tondo, con cui è facile empatizzare, sebbene agisca in modo non sempre corretto moralmente. Restando alla pellicola, il pregio maggiore, come sottolinea il titolo, è quello di lasciare il tradimento in “secondo piano” e mettere in primo piano l’apparenza, ossia come nascondere l’adulterio, per non essere derisi o giudicati dagli altri. Questo tradimento, basicamente classico (un marito è infedele alla moglie), diviene più delicato, e fonte di sicuro scandalo, perché la coppia fa parte di un gruppo di borghesi francesi residenti a Vienna, per tanto in quel mondo si bada molto alla forma, e la scoperta di un peccato genera facilmente malignità. Non a caso Ève e la sua amica commentano, con toni misti di ironia e dissenso, l’infedeltà subita da una loro conoscente, ormai ridotta agli occhi di quel gruppo come una “appestata”. Comunque, le apparenze decantate dal titolo non sono solamente quelle che vuole mantenere Ève, ma anche quelle del marito Henri (noto direttore d’orchestra), che non vuole nessuno scandalo, e dalla giovane maestra Tina, amante di Henri, che aveva celato un passato poco limpido. Partendo da questo adulterio, Fitoussi realizza una tagliente disamina dell’ipocrisia borghese, svelando i veri volti – e caratteri – dei personaggi della vicenda. Esemplificativa la scena del pre-finale, in cui marito e moglie si confrontano su quanto accaduto. Les apparecences, girato con molta eleganza da Fitoussi, che purtroppo non riesce a evitare qualche piccolo eccesso di artificiosità, ricorda negli umori le rappresentazioni beffarde – e noir – realizzate con Claude Chabrol.
Roberto Baldassarre