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Land of the Little People

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VOTO: 4.5

Molto rumore per nulla    

Un piccolo villaggio militare israeliano. Mogli di soldati in costante attesa del ritorno dalla guerra dei loro mariti. Un gruppo di bambini che vivono in questo villaggio. Un rifugio segreto. Due disertori che sembrano non aver altro posto dove andare, se non proprio nel rifugio dei ragazzi. Sullo sfondo, un conflitto senza fine. È da questi elementi che prende vita Land of the Little People, primo lungometraggio di finzione del regista israeliano Yaniv Berman, presentato – in Selezione Ufficiale – all’11° Festa del Cinema di Roma.
Ad una prima, sommaria lettura della sinossi – e fino ai primi cinque minuti del lungometraggio stesso – questo lavoro di Berman può apparire senza dubbio interessante. E non poco anche. Soprattutto perché, sebbene il tema dell’infanzia sia stato più e più volte trattato (dalle origini del cinema fino ai giorni nostri), l’idea di raccontare questa sorta di mondo a sé popolato quasi esclusivamente da figli di militari – ossia da bambini abituati fin da giovanissimi a vivere a stretto contatto con armi, in una costante situazione di guerriglia – risulta se non altro uno sguardo sull’infanzia indubbiamente accattivante. Si potrebbe addirittura sperare in una sorta di nuova trasposizione cinematografica de “Il signore delle mosche”, collocato, ovviamente, nel suddetto contesto. Eppure questo lungometraggio di Berman non riesce, purtroppo, a costruire nulla di valido che prenda vita dall’interessante trovata iniziale.
Il problema principale, senza dubbio, riguarda la sceneggiatura stessa e, nello specifico, la caratterizzazione dei personaggi. Ora, di certo non è difficile né tantomeno raro che il pubblico, durante la visione di un film, empatizzi con i bambini, siano essi protagonisti o meno. Bene, in Land of the Little People questo non accade mai. E con nessuno dei giovani protagonisti. Il desiderio dei ragazzi di creare un rifugio tutto loro, con le proprie regole ed i propri rituali, oltre alle motivazioni che li spingono a fare la guerra ai due soldati disertori, sono aspetti che non vengono approfonditi a sufficienza. Ad esempio, troppo poco sappiamo della misteriosa “creatura” venerata dai bambini stessi che, a quanto pare, vive in un pozzo all’interno del rifugio. Così come lasciato in sospeso è il conflitto con il gruppo di ragazzi più grandi che vivono anch’essi all’interno del villaggio. Errori, questi, che fanno sì che si provi disinteresse, se non addirittura, a tratti, una sorta di antipatia nei confronti dei giovani protagonisti stessi. Ciò vuol dire, secondo una logica conseguenza, un fiasco praticamente preannunciato.
Stesso discorso vale, appunto, per i due giovani soldati che hanno occupato il rifugio dei bambini. Senza dubbio, l’idea iniziale era quella di dare vita a due figure negative. Tali figure, però, diventano problematiche nel momento in cui non vi sono validi “eroi” a contrapporsi ad esse. Alcuni dialoghi tra i due, inoltre, scadono spesso e volentieri nel ridicolo e frequenti, di conseguenza, sono le risatine involontarie in seguito alle disavventure dei due per mano dei ragazzi. Due macchiette poco credibili nei confronti dei quali si perde ben presto di interesse.
Se a tutta questa carrellata di scivoloni sommiamo un ritmo pressoché inesistente, una cattiva gestione dei tempi (uno dei sub plot ci mostra la madre di uno dei protagonisti che saluta, in lacrime, suo marito in partenza per il fronte, per poi riabbracciarlo solo un paio di giorni dopo, ad esempio.  Vogliamo parlarne?) ed una serie di cadute di stile riguardanti esclusivamente la regia (il primo piano improvviso della fotografia della fidanzata di uno dei due disertori che appare, irruente, sullo schermo immediatamente dopo il ferimento del ragazzo è, a questo proposito, forse una delle “perle” migliori), ci troviamo di fronte ad un prodotto decisamente rudimentale e maldestro, che, fatta eccezione, come già è stato detto, per qualche risatina involontaria, appunto, fa sì che lo spettatore non veda l’ora di trovarsi davanti – finalmente – i titoli di coda.
In compenso, il messaggio che si vuol trasmettere alla fine del film arriva forte e chiaro: chi diserta la guerra, a quanto pare, è un individuo spregevole che non merita alcuna pietà. Questo è, forse, l’unico elemento – condivisibile o meno – dotato di una certa coerenza all’interno di Land of the Little People. Per quanto riguarda tutto il resto, purtroppo, vi è davvero ben poco da salvare.

Marina Pavido

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