Non dimenticarmi
David Lamb è a pezzi: dopo aver divorziato dalla moglie, si trova a distanza di poco a dover affrontare anche la morte del padre. Quando tutto sembra perduto, l’incontro in un parcheggio con Tommie, undicenne solitaria e problematica, cambia le carte in tavola: desideroso di compiere finalmente del bene, l’uomo parte con la ragazzina per un viaggio verso le Montagne Rocciose. E mano a mano che i due si conoscono, circondati da una natura selvaggia e mozzafiato, le loro vite si aprono l’una a l’altra.
Basta leggere la sinossi per capire quanti e quali rischi Ross Partridge si sia preso nel portare sul grande schermo un film come Lamb, presentato alla 33esima edizione del Torino Film Festival nella sezione Festa Mobile, la cui storia e i temi che tratta viaggiano da sempre su un filo davvero fragile, pronto in qualsiasi momento a spezzarsi. Quel filo si chiama ambiguità ed è legato a uno dei più grandi tabù dei nostri tempi, che non contempla la possibilità di un’amicizia e un affetto tra una adolescente e un adulto, senza che su questo rapporto tra persone estranee aleggi lo spettro della pedofilia. La cronaca del resto è impietosa e gli innumerevoli casi di abusi sui minori a tutte le latitudine, soprattutto tra le pareti domestiche, riducono le possibilità a lumicino. Trattasi dunque di un argomento delicatissimo, di quelli da affrontare con intelligenza e consapevolezza. Per cui, al di là della riuscita oppure no della pellicola, la seconda dietro la macchina da presa a distanza di ben quindici anni dall’altalenante Interstate 84 (nel mezzo sei episodi della serie tv Wedlock), all’autore va quantomeno riconosciuto il coraggio di esserseli presi certi rischi. La sua è una passeggiata da equilibrista su una fune in sospensione e senza rete di contenimento a proteggerlo da una caduta che si sarebbe rivelata letale.
Fortunatamente, Partridge riesce ad arrivare sano e salvo all’altro capo, affidandosi alla scrittura dell’omonimo romanzo di Bonnie Nadzam del quale il film da lui diretto è la trasposizione, ma non senza segni a intaccarne la prestazione che nel suo caso è stata duplice nelle vesti di regista e di co-protagonista nel complicatissimo ruolo di David Lamb. Forse, proprio il doppio impegno non lo ha aiutato a mantenere sempre il medesimo controllo su entrambi i fronti e le fasi altalenanti che attraversa la timeline rappresentano la cartina tornasole. Ciclicamente, il regista e attore americano sembra allentare la presa, con la storia e i personaggi che si perdono nella drammaturgia per poi ritrovarsi miracolosamente. Quando il tutto si ristabilisce, il film regala alla platea momenti di grandissima emozione e intensità (vedi l’epilogo strappacuore) e il merito è in primis della performance toccante e sofferta della magnifica Oona Laurence nel ruolo di Tommie. È lei, infatti, la scialuppa di salvataggio alla quale Partridge si aggrappa quando la situazione si complica. La Laurence è straordinariamente brava a raffreddare al momento giusto la scena quando si è in prossimità del punto di ebollizione. Le esperienze maturate come attore su moltissimi set per il piccolo e grande schermo, in prodotti eterogenei e diversissimi (da Jurassic Park – Il mondo perduto a CSI o Cold Turkey), si sono rivelate decisive per il passaggio alla regia di Partridge, ma soprattutto importantissime per calibrare bene il termometro della recitazione, quanto basta per aiutare i colleghi a disposizione – esperti e non – a dare il massimo.
Per il resto, il regista statunitense firma una regia asciutta ed essenziale, misurata e a completa disposizione dei personaggi e della storia. La macchina da presa si stacca pochissime volte dai corpi e dalle rispettive ombre, anche quando gli scenari si aprono ai grandi spazi in una parte centrale che si veste da road movie.
Francesco Del Grosso