Verso una vita migliore
Particolarmente d’impatto – durante questa dodicesima edizione dell’Irish Film Festa, il lungometraggio Lamb, realizzato nel 1985 da Colin Gregg e con protagonisti un giovane Liam Neeson e uno Hugh O’ Conor ancora bambino, il quale, in occasione della medesima manifestazione, ha presentato anche Metal Heart (2018), per cui ha curato la regia.
In un’Irlanda degli anni Ottanta, in cui il cattolicesimo si fa sentire sempre prepotente e invasivo, il giovane sacerdote Michael Lamb (Neeson), in piena crisi personale in seguito a forti dubbi riguardanti la propria vocazione, si trova in forte disaccordo con i rigidi metodi educativi adottati all’interno del collegio in cui lavora. La cosa sembra prendere una piega piuttosto drastica nel momento in cui verrà mandato al collegio il piccolo Owen Cane (O’ Conor), maltrattato dalla propria famiglia e ingiustamente accusato di atti di vandalismo che non ha commesso. Sarà in questo momento che Lamb, in seguito alla morte di suo padre, prenderà la decisione di prendere l’eredità e scappare insieme al bambino, in cerca di una vita migliore.
Il peregrinare dei due attraverso l’Irlanda e l’Inghilterra assume, qui, quasi le caratteristiche di un vero e proprio pellegrinaggio al fine di raggiungere qualcosa che sembra davvero troppo lontano, un sogno praticamente impossibile da realizzare.
Al di là, dunque, dell’ottima interpretazione di Neeson, vero e proprio valore aggiunto dell’intero lavoro è proprio il piccolo Hugh O’Conor. Il suo Owen è un bambino fragile e, allo stesso tempo, cresciuto prima del tempo. Un bambino che fuma abitualmente, ma che, al contempo, sogna ancora una famiglia tutta sua e qualcuno che si prenda cura di lui. A tal proposito, molto ben scritto è il legame tra lui e l’ormai ex sacerdote Michael, colonna portante dell’intero lungometraggio.
Il viaggio dei due protagonisti assume, così, un certo lirismo, una certa poesia, malgrado frequenti situazioni che ci mostrano ambienti ostili e poco rassicuranti. Entrambi, Lamb e Owen, finiranno inevitabilmente per imparare molto l’uno dall’altro, per un insolito road movie dai risvolti inaspettati e per nulla prevedibile.
Oltre al suddetto importante rapporto, tuttavia, ciò che Gregg ha voluto mettere in scena in questo suo importante lavoro è soprattutto una forte critica a una società ancora troppo ancorata al passato e alle convenzioni. A una società ipocrita dove, dietro un fortissimo rispetto per la religione (che, in un contesto come il presente, altro non fa che danneggiare gli stessi protagonisti), è sempre pronta a dare addosso ai malcapitati di turno.
A conclusione di un’ottima messa in scena e di un più che soddisfacente andamento narrativo, tuttavia, ciò che fa sì che un lavoro come Lamb si faccia ricordare per sempre da chi abbia avuto modo di visionarlo è proprio la scena finale, in cui la poetica immagine di truffautiana memoria dei due protagonisti intenti a giocare in spiaggia, fa da contrappunto agli inaspettati risvolti di sceneggiatura che colpiscono lo spettatore come un pugno allo stomaco.
Marina Pavido