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L’abbaglio

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VOTO: 7,5

Manovra diversiva

Ambientato negli anni Venti, La stranezza vede Luigi Pirandello fare ritorno in Sicilia in occasione del compleanno dell’amico Giovanni Verga per poi scoprire che la sua anziana balia Maria Stella si era da poco spenta. Lo scrittore e drammaturgo decide allora di organizzarle un ricco funerale, per il quale assolda Sebastiano Vella e Onofrio Principato, due singolari becchini, nonché teatranti dilettanti impegnati nella realizzazione di uno spettacolo. Ma se del celebre autore parlano le cronache e le opere da lui firmate, della suddetta coppia invece non vi è traccia alcuna. Il motivo è che questi non sono mai esistiti, o forse si ma sotto altre spoglie che non sono quelle restituite sullo schermo da Roberto Andò nel film del 2022 che tanto successo ha ottenuto, anche grazie al contributo davanti la macchina da presa di un trio inedito quanto curioso e variegato formato da Servillo, Ficarra e Picone.
Del resto squadra che vince non si cambia e allora ecco il cineasta palermitano riproporla insieme alla medesima formula che ha fatto la fortuna della pellicola precedente, chiamando a raccolta per L’abbaglio quegli sceneggiatori e quelle maestranze che lo avevano già affiancato in fase di scrittura e di messa in quadro, oltre a quegli interpreti che hanno rivestito anche in questa occasione i ruoli principali. Con questa nuova fatica dietro la macchina da presa, Andò ha proseguito quindi nel solco dei personaggi storici e dei fatti realmente accaduti mescolandoli a figure ed eventi di fantasia. Lo ha fatto riavvolgendo le lancette dell’orologio, ma spingendosi ancora più in là nella grande Storia intrecciando le sorti della vicenda della “colonna Orsini” guidata dal patriota alla quale si attribuisce il nome durante la spedizione dei Mille, con le disavventure romanzate dei sventurati di turno. Si tratta Due cialtroni che ricordano per analogie il Franco e Ciccio La Pera de I due sergenti del generale Custer, due soldati nordisti di origine siciliana che, durante la guerra di secessione americana, vengono accusati di diserzione per poi essere scelti per compiere una pericolosa e delicata operazione di spionaggio. Seppur si viaggia su altre linee d’onda drammaturgiche, narrative ed epocali, nel film del 1965 di Giorgio Simonelli, così come in L’abbaglio, si racconta dalla prospettiva dei combattenti in alto grado ma anche da quella di due malcapitati che non vorrebbero farne parte. Tutto ha inizio il 5 maggio 1860. Giuseppe Garibaldi si prepara a compiere l’impresa dei Mille e affida al colonnello Vincenzo Giordano Orsini l’incarico di reclutare i volontari. Vanno bene un po’ tutti, anche i giovanissimi e gli sprovveduti. Fra questi ultimi ci sono Domenico, un siciliano claudicante specializzato in fuochi d’artificio, e Rosario, un palermitano emigrato al Nord che millanta un titolo nobiliare e un passato all’accademia militare: poco importa che sia un imbroglione e un giocatore d’azzardo con la tendenza a barare perché, data la pericolosità dell’impresa, secondo Orsini «anche gli impostori possono esserci utili».
Verità e finzione al 50 e 50 si incrociano senza soluzione di continuità per dare vita a un period-movie a sfondo risorgimentale che rilegge la grande Storia attraverso un racconto nel racconto che ha come base di partenza e tessuto una pagina reale, importante ma poco nota (Sciascia la riportò nel 1963 in Il silenzio, racconto presente nella raccolta postuma Il fuoco e il mare), “nascosta” dentro la ben più celebre spedizione garibaldina. Si procede dunque in maniera efficace con un palleggio tra le due linee narrative che scorrono parallelamente per poi ricongiungersi con l’avventura nell’avventura di due impostori che si infiltrano dapprima nella spedizione per arrivare in Sicilia, per poi disertare subito dopo i primi scontri di Marsala ed essere infine ricatturati dai garibaldini ed essere impiegati nella “colonna Orsini” alla quale venne affidata la manovra diversiva su Corleone, allo scopo di far credere ai borbonici che la spedizione si avviasse all’interno dell’isola mentre invece Garibaldi entrava a Palermo con il resto dell’esercito a sua disposizione. L’abbaglio del titolo sta dunque in quello che i garibaldini fanno prendere alle truppe regie con la suddetta ingegnosa manovra e poi quello preso da tutti gli idealisti, Orsini compreso, che all’indomani dell’Unità d’Italia incominciarono ad accorgersi che era cambiato tutto affinché non cambiasse nulla. In questo duplice significato che calza a pennello c’è tanto una dichiarazione d’intenti quanto uno sguardo al passato per parlare e riflettere sul presente.
L’abbaglio per il resto ripropone il medesimo schema de La stranezza nell’alternanza dei registri. Questo consiste nell’accostare al grande racconto storico, solitamente drammatico, una componente comica e immaginifica. Il tutto è reso possibile non solo dalla scrittura ormai collaudata di Andò con i sodali Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, ma anche dalla presenza ormai imprescindibile di Toni Servillo da una parte, Ficarra e Picone dall’altra. Più altre new entry nella galleria di personaggi come Tommaso Ragno nei panni di Garibaldi e di Leonardo Maltese in quelli di Ragusin che servono ad alimentare il meccanismo. Replicarlo a così poca distanza ha garantito certo un esito soddisfacente, ma non gioca in termini di originalità a favore del prodotto. Ce lo gustiamo perché riuscito e ben confezionato, ma ci aspettiamo in futuro qualcosa di diverso, che quantomeno rimescoli le carte.

Francesco Del Grosso

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