Huppert Rules
Isabelle Huppert si può considerare l’equivalente francese dell’hollywoodiana Meryl Streep, sperando che la Huppert non si offenda (e allo stesso modo la Streep) di questo paragone. Ambedue, anche se le decadi passano, sono riuscite, con la loro bravura, la loro duttilità e la loro umiltà, a restare in auge sia presso il pubblico e sia dentro l’industria cinematografica. La piccola differenza è che l’attrice francese, a tutt’oggi, accetti ruoli non semplici, a volte perfino sgradevoli, e non tirandosi indietro in una scena di nudo. Resta ancora nella memoria la sua prestazione, acclamatissima, nel turgido Elle (2016) di Paul Verhoven. Chiaramente la lunga carriera della Huppert non è stata esente di ruoli sbagliati e/o film sbagliati, ma certamente la sua presenza fisica e recitativa ha sempre riempito tanto il personaggio che ha interpretato quanto le scene in cui era protagonista. In La padrina – Parigi ha una nuova regina (La daronne, 2020) di Jean-Paul Salomè, la Huppert è in stato di grazia, ovvero riveste un ruolo più leggero, ma non per questo scontato e facile.
Tratto dal pluripremiato omonimo romanzo di Hannelore Cayre, pubblicato nel 2017 e tradotto in Italia come “La bugiarda” (edizioni Le assassine), la trasposizione, che la scrittrice ha curato assieme ad Antoine e Jean-Paul Salomè, pigia molto su quel sarcasmo insito nella scrittura e nel carattere della protagonista Patience, mettendo sullo sfondo l’aspetto noir che faceva da sfondo alla vicenda letteraria. Anzi, nel passaggio dalla pagina al film il noir è stato trasformato in polar, come testimoniano molto bene alcune sequenze dure e pure, come ad esempio la sequenza iniziale, oppure nella concitata scena dell’inseguimento, da parte del trafficante, che subisce Patience. Non mancano nemmeno i veri escamotage che i trafficanti utilizzano per comunicare tra loro (uso di cellulari usa e getta o comunicazione attraverso videogiochi online) per non farsi capire dalla polizia. Per inciso, questi sono quegli elementi reali che la Cayre ha conosciuto attraverso la sua professione di avvocato. Dietro questi elementi di polar e commedia, comunque, permane la fondamentale prospettiva femminile, che mette in evidenza come il mondo del lavoro, in questo caso l’ambiente della polizia, sia ancora ad appannaggio degli uomini (la promozione dell’insipido Philippe a capo), e che una donna, vedova, con due figlie a carico e una madre malata, deve annaspare per poter sopravvivere, tra affitto da pagare e gestione del nucleo familiare. L’appropriazione di tutta quella droga, recuperata in modo geniale anche perché Patience era stata sposata con un trafficante e i propri genitori riciclavano denaro, diviene non un gioco tra lei e la polizia, ma tra lei il mondo maschile. Un modo di porsi con virilità e pragmatismo, visibile soprattutto quando tratta con i due spacciatori, che al suo confronto sembrano due bambinoni. Non a caso il termine daronne è una maniera familiare per chiamare la mamma. Patience è una mamma per le sue figlie, ma è mamma bacchettona con gli spacciatori e mamma che zittisce completamente la polizia. L’andamento de La padrina non sempre funziona, con una coda finale troppo sentimentale, ma è la Huppert il vero elemento rafforzante, dando spessore emotivo e ironia al personaggio di Patience, come dimostra quando è intabarrata, in modo appariscente, come fosse una donna orientale. Tra l’altro, nella versione originale, la Huppert recita anche alcune battute in perfetto arabo.
Roberto Baldassare