Un appuntamento quotidiano
Un uomo vive in compagnia del suo gatto in una piccola e accogliente casetta dal sapore un po’ rétro. Eppure l’uomo sembra totalmente affascinato dalle tecnologie, orgoglioso com’è del suo nuovo forno a microonde e della sua radio, costantemente accesa. Poi, improvvisamente, l’orologio sta per segnare le tre e l’uomo, frettoloso, si accinge a indossare un elmetto di sicurezza, a sedersi su di una poltrona posta su misteriosi binari e a schizzare letteralmente via dalla sua casetta urlando: “Koekoek!”. Già, perché, di fatto, il bizzarro personaggio in questione abita proprio in un orologio a cucù e il suo compito è quello di svegliare un’anziana signora che vive in una casa di riposo, al fine di permetterle di prendere le sue pillole.
Questo, dunque, è quanto ci è dato da vedere all’inizio del tenero e divertente Koekoek!, appunto, diretto dall’olandese Jörgen Scholtens e presentato all’interno della selezione dell’ÉCU Film Festival 2020. Un lavoro, il presente, che grazie a toni un po’ naïf e a scenografie che rimandano a un arredamento anni Sessanta, ha tutto il sapore di una favola per bambini, per l’immagine di un’epoca in cui gli elettrodomestici stanno per sostituire il lavoro dell’uomo. Ma fino a che punto la cosa è da considerarsi positiva?
Con un montaggio che si fa, via via, sempre più frenetico e situazioni ai limiti del paradossale, il povero protagonista – da sempre ligio al dovere – non sa più come gestire tutte le sue attività. E di fianco al sogno di poter finalmente sostituire la sua vecchia macchina da scrivere con un computer nuovo di zecca, magari vincendolo grazie a un concorso a premi organizzato dalla sua trasmissione radiofonica preferita, non dovrà dimenticarsi dei suoi appuntamenti quotidiani con l’anziana signora. Altrimenti la sua accogliente casetta – ossia l’orologio a cucù – potrebbe addirittura essere sostituito da un ben più tetro e angusto orologio elettrico.
I dialoghi sono ridotti all’osso in Koekoek!. E se facciamo eccezione alle poche frasi che il protagonista rivolge al suo gatto o alle voci che sentiamo tramite la radio, l’intera messa in scena – grazie anche e soprattutto alle ambientazioni dai toni favolistici e a tratti surreali – sembra quasi ricordarci i film del grande Jacques Tati. E così, questo piccolo e interessante lavoro di Jörgen Scholtens – che, probabilmente, avrebbe reso al massimo se si fosse optato per un’animazione in stop motion – riesce perfettamente nel suo intento di mostrarci la fine di un’epoca e l’imperversare delle tecnologie, strappandoci anche qualche sorriso ma senza apparire, al contempo, eccessivamente nostalgico. Allo stesso modo, il regista non vuole dare a tutti i costi precise risposte in merito, ma in questa messa in scena semiseria il messaggio arriva eccome. E sorridendo, forse, ci renderemo conto di quanto sia importante mantenere alcune sane, vecchie abitudini, senza aspettarsi che siano le tecnologie a fare tutto il lavoro al posto nostro.
Marina Pavido