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Jonathan

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VOTO: 7.5

2 per 1, 1 per tutti

Nel concorso del 18° Trieste Science + Fiction Festival c’è stato spazio per due pellicole che hanno affrontato il tema del doppio, un tema che nelle sue diverse declinazioni ha trovato più volte nei decenni la via del grande schermo a tutte le latitudini. Di conseguenza, data la frequenza con la quale l’argomento in questione viene trattato nella Settima Arte è piuttosto facile imbattersi in una line-up festivaliera dove figurano pellicole che condividono un tema gettonato come questo. E come se non bastasse può accadere che entrambi i film condividano anche dei posti nel palmares, tant’è che in quello della kermesse giuliana a Man Divided di Max Kestner è andato il Premio Méliès d’argent per il miglior lungometraggio europeo, mentre a Jonathan di Bill Oliver quello assegnato dalla critica web (che ci ha visto tra le testate on line coinvolte nella votazione). Riconoscimenti, questi, che sono stati attribuiti ad opere che pur avventurandosi in terreni comuni sotto la lente d’ingrandimento risultano completamente diverse per approccio alla materia. Se lo sdoppiamento nel primo è fisico e gemellare con l’elemento fantascientifico molto più spiccato e tangibile per dare vita a una roboante corsa contro il tempo tra passato, presente e futuro, nel secondo la moltiplicazione si esplica nella ripartizione di un solo corpo da parte di due personalità ben distinte. Di conseguenza, se nel film di Kestner si va nella direzione dei vari Inseparabili o Il ladro di orchidee, nell’opera prima del collega statunitense si percorre quella più complessa di Doppia personalità di Brian De Palma o il recente Split di M. Night Shyamalan. Viene da sé che per forza di cose gli autori si sono trovati a fare i conti con progetti diametralmente opposti in tutto e per tutto, con Oliver che narrativamente, drammaturgicamente e visivamente ha dovuto – scusate il gioco di parole – faticare il doppio per portare sul grande schermo una storia che parte dal disturbo della personalità multipla per arrivare ad inoltrarsi come vedremo in altri territori.
La pellicola, presentata in anteprima italiana alla kermesse giuliana dopo la première mondiale Tribeca Film Festival 2018, ci trascina nella quotidianità di Jonathan, uno schivo aspirante architetto di 24 anni che soffre di una malattia che solo suo fratello John riesce a comprendere. I due dividono un appartamento, lavorano part-time e, a causa dei differenti orari, comunicano solo tramite messaggi scritti, audio e video che si lasciano a vicenda. Da quando erano bambini i due fratelli vivono secondo una rigida serie di regole: ogni giorno si raccontano ciò che hanno fatto e riducono al minimo i rapporti umani esterni. La vita severamente circoscritta di John e Jonathan sembra procedere tranquillamente finché Jonathan scopre che John sta vedendo di nascosto una ragazza: avere una fidanzata è contro le regole! Il delicato equilibrio finisce così per rompersi.
La macro-area di riferimento nella quale Oliver e il suo esordio si muovono a questo punto risulta sin troppo chiara, con Jonathan che offre alla platea di turno l’ennesima variazione al classico tema del doppio, ossia quello nel quale si intravedono echi letterari del Dottor Jekyll e Mr. Hyde che tanto cinema di genere e non hanno alimentato. La linea di demarcazione che separa caratterialmente il lato buono da quello cattivo qui non genera violenza e sangue come normalmente accade tra un ego e il suo alter-ego in guerra (vedi Fight Club), ma attriti e conflitti interiori tra personalità dalle fragilità diverse. L’uno non vuole prevaricare sull’altro, ma cerca piuttosto il rispettivo posto nel mondo, con una ricerca che il cineasta americano inserisce in una sorta di romanzo di formazione multiplo. Il tutto condotto attraverso una tessitura mistery che contrappone ad una prima ora sulla quale pesano futili digressioni e una frammentazione superiore a quella richiesta, una restante fetta di timeline che si caratterizza invece per una maggiore forza, equilibrio ed efficacia. Tale scissione denota un deciso cambio di passo che riporta in quota un’opera che altrimenti si sarebbe inabissata. Ciò che è venuta meno quindi è una continuità nella scrittura e nella sua trasposizione. Diversamente, laddove la continuità non ha subito gli stessi dislivelli, vale a dire nel lavoro davanti e dietro la macchina da presa, il film ha trovato i suoi più convinti sostenitori. Da una parte Oliver è stato bravissimo a tramutare in immagine lo sdoppiamento visivo e corporeo attraverso un puntuale, funzionale e se vuoi classico gioco di riflessi e reverberi negli specchi e nelle superfici dell’appartamento, ma anche nelle registrazione dei videomessaggi che di volta in volta le due metà della stessa medaglia si scambiano al momento dello switch nel passaggio tra il giorno e la notte (Jonathan vive nel primo e John nel secondo), dall’altra Ansel Elgort nei panni dei protagonisti offre una perfomance convincente dall’inizio alla fine.

Francesco Del Grosso

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