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2095. Il mondo è stato sconvolto da una catastrofe ecologica: gli oceani si sono sollevati e tutta l’acqua dolce è scomparsa, assieme a ogni pianta e animale. Alla ricerca di una soluzione, gli scienziati hanno fatto esperimenti sui viaggi nel tempo, trovando forse una strada: i cosiddetti Qeda, agenti divisi in due gruppi molecolari, sono in grado di viaggiare nel passato con una metà di loro stessi, rimanendo in contatto con l’altra, ancorata al presente. Usando la sua posizione come copertura, il capo dei Servizi Segreti, Fang Rung, ha viaggiato indietro nel tempo alla ricerca della scienziata Mona Lindkvist, le cui innovative ricerche sono andate perdute prima di aver potuto salvare il mondo.
Nel menù dell’opera prima di Max Kestner dal titolo Man Divided, presentata in concorso al 18° Trieste Science + Fiction Festival, c’è tutto quello che serve per portare sul grande schermo il più classico dei fanta-thriller. Nello script e nella sua trasposizione, infatti, ritroviamo gran parte degli ingredienti che abitualmente servono a dare forma e sostanza narrativa, drammaturgica e visiva alla ricetta tradizionale: mistery, fantascienza, futuro dispotico, catastrofe ecologica e viaggi nel tempo. Il regista danese, qui alla sua prima esperienza nel cinema di finzione dopo una lunga e proficua carriera nel documentario, regala alla platea di turno un vorticoso giro di lancette che palleggia tra passato, presente e futuro. E letta la trama qualche analogia con il Timecop di Peter Hyams e il Jumper di Doug Liman riaffiora prontamente nella mente. Qui la posta in gioco però è decisamente più alta e da essa dipende in tutto e per tutta la sopravvivenza del pianeta Terra e dei suoi abitanti. Una responsabilità non indifferente che ricadrà sui protagonista, anti-eroi per antonomasia che per provare a prendere per i capelli un mondo votato all’autoflagellazione dovranno sfidare il tempo, il destino e anche il proprio passato. Perché come accade spesso il privato ci mette sempre lo zampino.
In realtà non c’è tantissimo da dire in chiave analitica di un’operazione che assolve a quello che è il suo obiettivo principale, vale a dire l’intrattenimento puro e semplice. Niente di più, niente di meno. Se c’è una cosa che andrebbe rivista è l’utilizzo assolutamente accessorio e invasivo del voice over. In quanto a dosi di adrenalina sparate nelle vene del fruitore, invece, queste a conti fatti risultano eccessivamente razionate, tanto da determinare un continuo sali e scendi che non garantisce continuità in termini di coinvolgimento da parte dello spettatore nei confronti del prodotto finito. Per il resto, Man Divided non incanta e nemmeno delude, ma si tiene a galla nel limbo di una sufficienza conquistata grazie ad una confezione valida, sorretta da un efficace lavoro dietro e davanti la macchina da presa. In particolare la doppia performance di Carsten Bjørnlund nei ruoli di Fang Rung e Gordon Thomas contribuisce e non poco alla causa, consentendo alla pellicola di arrivare sana e salva in porto.
Francesco Del Grosso