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Intrigo: Dear Agnes

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VOTO: 6.5

Chi ritrova un’amica, ritrova un tesoro

Dopo i pochi alti e i tanti bassi riscontrati nei primi due capitoli (Death of an Author e Samaria) della trilogia, che lasciavano prefigurare orizzonti poco rosei per il progetto Intrigo, trittico cinematografico firmato da Daniel Alfredson modellato sui romanzi di Håkan Nesser, ecco che un colpo di coda in zona Cesarini arriva a tamponare in parte una situazione che sembrava ormai compromessa. Per fortuna del cineasta svedese l’ultimo atto dal titolo Dear Agnes, presentato in concorso alla 29esima edizione del Noir in Festival, sfata la tanto temuta regola del non c’è due senza tre offrendo allo spettatore di turno quelle certezze e quella sicurezza che suo e nostro malgrado erano venute meno nei precedenti film.
Con Dear Agnes, infatti, Alfredson ritrova la retta via, quella dei giorni migliori in cui il suo cinema si affacciava sul grande schermo con convinzioni maggiori e una solidità narrativa più che evidente. Erano gli anni dei capitoli della saga di Millennium, poi un sonno criogenico lo ha fatto sprofondare in un letargo perdurato sino ai titoli di coda di Samaria. Sonno dal quale il regista scandinavo sembra essersi risvegliato in tempo utile per salvare la nuova fatica antologica da una debacle. Con la complicità della co-sceneggiatrice Birgitta Bongenhielm, Alfredson prende in consegna l’omonimo romanzo del connazionale, inserisce i collanti del caso (su tutti il caffè Intrigo, punto di ritrovo per tutti i personaggi della trilogia) per omologarlo agli altri tasselli, ne preserva le l’anima del plot e i temi chiave (vendetta, peso del passato, etc..) per poi destrutturare il tutto sino a cambiargli i connotati nel finale. Quel tradimento, che con il senno di poi ha rappresentato una vera e propria salvezza, ha fatto in modo che la pellicola trovasse una sua strada, distaccandosi così dagli esiti insoddisfacenti delle puntate precedenti.
Siamo a un funerale. Lì Agnes, una giovane vedova, sta seppellendo il marito molto più grande di lei assieme ai figli maggiorenni di lui. Si sente osservata e scorge una donna della sua stessa età intenta a fissarla, prima che questa possa dileguarsi. Si tratta di Henny, con cui un tempo era molto amica. Henny cerca un modo per riconciliarsi con lei ma Agnes è cauta, soprattutto quando la donna le propone di aiutarla a uccidere suo marito David in cambio di una grossa somma di denaro. Agnes si rende conto che il suo passato è tornato e che non ha molta scelta. Cos’è successo tra le due donne molti anni prima?
Il film di Alfredson vi darà tutte le risposte che cercate. Risposte che arriveranno dalla visione di un thriller dalla linea mistery efficace, costruita su un meccanismo di svelamento ben congegnato che ha nel crescendo della suspence e nella catena di inaspettati colpi di scena piazzati in prossimità dell’epilogo i suoi punti di forza. La difficoltà maggiore insita nella matrice stava nella sua natura epistolare, con le due protagoniste chiamate a scambiarsi una fitta corrispondenza prima, durante e dopo avere stretto il patto criminale. Un escamotage narrativo che Nesser sulle pagine del romanzo ha saputo utilizzare molto bene, ma che in una trasposizione cinematografica non poteva per una serie di motivi pratici seguire fedelmente le stesse traiettorie. Da qui le correzioni del caso in fase di riscrittura che hanno portato al risultato che abbiamo potuto apprezzare nella prima giornata milanese del Noir in Festival.
Insomma, un sospiro di sollievo quando ormai la speranza di una ripresa ci aveva quasi del tutto abbandonati. Al fotofinish il progetto ha rialzato la testa grazie a un armonioso gioco di squadra degli elementi, a cominciare dalla scrittura sino alle interpretazioni di Carla Juri e Gemma Chan, passando per la regia elegante e la confezione. A proposito di quest’ultima da segnalare la fotografia di Pawel Edelman e la colonna sonora di Anders Niska e Klas Wahl.

Francesco Del Grosso

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