«Un soffio di vento»
Nero… è quel nero dello schermo che tanto ci è mancato e su cui comincia a stagliarsi una musica evocativa – non solo del tempo, ma anche dello spirito che si respirava. Violini e archi mentre appare, tra le fronde degli alberi, l’immagine di un quaderno dalle pagine consumate – anche bucate – piene di pensieri e immaginazioni. Subito dopo scopriamo la mano del nostro Lucien Chardonnay (molto in parte Benjamin Voisin) che scorre con la matita nera incessantemente sulla pagina, con la frenesia di chi nutre grandi speranze e crede che, nonostante il rango di appartenenza, si possa diventare poeti perché ci si sente tali. Siamo nella Francia del XIX secolo, per vivere il giovane era stato costretto a imparare un mestiere, seppur connesso in qualche modo con la scrittura, lavorando nella tipografia di famiglia. Quest’ultima, per quei tempi, confidava fortemente in lui («per mio fratello che crede nell’ avventura della bellezza») e nelle sue aspirazioni che potevano apparire delle chimere. Mentre le immagini e la vita quotidiana scorrono, abbiamo una voce narrante – che a un tratto si incarnerà in un personaggio chiave – che funge come tale offrendoci anche la propria soggettiva sulla storia; al contempo ci piace pensare che sia in parte l’alter ego dell’autore – e qui si innesca il gioco tra Honoré de Balzac e Xavier Giannoli.
Il regista francese sembra volutamente auto-citarsi, richiamando in modo sottile, Marguerite. Nelle Illusioni perdute abbiamo una mecenate, Louise (l’elegante Cécile de France), la quale si sentiva una mecenate e organizzava nella propria casa una sorta di circolo letterario per far conoscere quelle che oggi definiremmo giovani leve. Con Lucien scatta immediatamente un coup de foudre in primis idilliaco (l’assonanza dei nomi non è casuale) e questo dà all’aspirante poeta la forza di immaginare una vita altrove e che ciò che sembra impossibile (in primis per appartenenza sociale) possa avverarsi. Trasportato da questo e da un’amour, forse, idealizzato, decide di tentare la sorte a Parigi sotto l’ala protettrice della donna, la quale, però, per il perbenismo dell’epoca deve discostarsi per evitare uno scandalo. Lasciato presto a cavarsela da solo nella grande città (su cui, da lontano, si fantastica e non si sa cosa possa celare), «il giovane scoprirà le macchinazioni in atto in un mondo che ubbidisce alla legge del profitto e della simulazione». Il regista de L’apparizione ha già dimostrato di sapersi addentrare nei meandri sociali del periodo storico che andava ad affrontare, ma ancor più di ‘smascherare’ meccanismi collettivi, relazionali e individuali.
«Il romanzo-manifesto di Balzac rivela la matrice del mondo moderno, il momento in cui un’intera civiltà era sul punto di cedere alla legge del profitto. Volevo prolungare quel gesto grazie al cinema, prendendomi, rispetto al testo originale, delle libertà (co-sceneggiato con Jacques Fieschi, nda) che mi permettessero di esprimerne lo spirito», ha dichiarato Giannoli. A conti fatti quelle libertà di artista con uno sguardo che non resta in superficie, ma che con leggerezza sa pure – quando ci vuole – schiaffeggiare società e individuo, avvicinano ancor più il romanziere francese a noi, a ciò che siamo (in quanto singoli e quando siamo in gruppo) e a ciò che potremmo diventare quando le illusioni lasciano il posto al disincanto.
Illusioni perdute è «Una commedia umana dove tutto può essere comprato o venduto, il successo letterario e la stampa, la politica e i sentimenti, la reputazione e l’anima». Come pubblico guardiamo tutto questo calato nell’Ottocento, ma sfruttando la capacità di grande osservatore di Balzac e l’universalità di questo grande classico, Giannoli ci suggerisce come possa essere applicato all’oggi – basti pensare che il filosofo e saggista Emil Cioran scriveva così nei suoi “Quaderni 1957-1972”: «Gli uomini seguono soltanto chi regala loro illusioni. Non ci sono mai stati assembramenti intorno a un disilluso». Le associazioni con la nostra attualità sorgono spontanee, a partire dalla questione sull’informazione (spesso manipolata), a come essa possa innalzare o distruggere una persona e come sia temuta dal potere o ancora come un insieme di persone unitesi per una causa (o almeno così dicevano – e dicono) possano tradire e tradirsi. Si empatizza con le aspirazioni, le aspettative professionali disattese… e poi c’è l’amore per quello di cui vorresti fare un mestiere e verso l’altro che può essere musa ispiratrice di sentimenti profondi o laceranti.
Un plauso va sì al cast, in cui spiccano, oltre ai già citati, Xavier Dolan e Salomé Dewaels; ma anche alla cura formale – a cui già ci ha abituati – sul piano di costumi e ambientazioni, pronti a rispecchiare l’epoca, ma a fare anche un passo in più, laddove il teatro (con gli abiti di scena del film) avviene non solo sul palcoscenico «ma anche nell’intervallo» e diventa una ‘trappola per topi’ per smascherare le coscienze.
«Penso a coloro che devono trovare la forza dopo il tempo del disincanto»…
Illusioni Perdute è stato presentato in Concorso a Venezia78 e sarà nelle sale italiane prossimamente con I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.
Maria Lucia Tangorra