Mai consegnare le nostre vite al mondo virtuale
Una donna che ha superato i cinquant’anni, ma ancora piacente. Intellettuale, brillante, ma sola. Claire Millaud, interpretata da una bravissima Juliette Binoche, è certamente una persona che, dietro la sua vita di brillante docente universitaria di lettere, di amicizie nella buona borghesia, cela una grande tristezza. Il marito l’ha infatti abbandonata per una rivale più giovane e i due figli adolescenti sono andati a vivere con lui. Per riempire il suo vuoto esistenziale intreccia una relazione con Ludovic, un ragazzo molto più giovane, non certo uno alla sua altezza, qualcuno conosciuto apparentemente per caso e che la usa semplicemente per appagare la loro forte attrazione sessuale: non c’è nulla da condividere, nulla da costruire. E’ una di quelle soluzioni che, come si suol dire, sono perfino peggiori del problema.
E’ qui che, depressa e ora in clinica, Claire comincia a narrare la sua storia ad una psichiatra, la dott.ssa Bormans (Nicole Garcia), che con fermezza e con estrema professionalità inizia un lungo lavoro per dipanare la vicenda umana della sua paziente, una vicenda che si intreccia presto con il mondo virtuale.
Abbandonata e irrisa anche dal suo giovane amante, infatti, finisce per scoprire Facebook, unico modo per lei di continuare a inseguire Ludovic ma che, invece, la mette rapidamente in contatto con il suo coinquilino Alex (Francois Civil). Certo, non intende presentarsi per chi è davvero, sia per celare le sue intenzioni, sia per timore di non vedersi accettata l’amicizia da un uomo con tanti anni in meno. E’ la volta di creare dunque una nuova identità virtuale, una identità perfetta di una donna giovane e sensuale, che chiamerà Clara. Ma Clara può non avere il suo corpo e il suo viso ma ha certamente l’elevato spessore intellettuale di Claire e la sua notevole abilità nello scrivere dovuta all’ottima preparazione letteraria. Il risultato è un profilo Facebook irresistibile che, in breve tempo, fa breccia in Alex il quale, sorprendentemente, si rivela essere grande motivo di felicità per Claire, un ammiratore dolce, attento e passionale. Quello che è cominciato come un gioco diventa così una irrinunciabile necessità quotidiana, il vero motivo per sorridere al mattino e, finalmente, riprendere a vivere con gioia.
Ma le bugie hanno le gambe corte…
Il mio profilo migliore di Safy Nebbou parte da un concetto che ben conosciamo e che è stato già lungamente sperimentato al cinema, cioè l’effimera essenza delle relazioni sui social media, il veleno delle bugie che con tanta facilità viaggiano oggi su computer e smartphone, la dipendenza che si può avere da queste e gli enormi danni cui si può andare incontro. Il titolo originale Celle que vous croyez (“Quello che vuoi credere”) la dice lunga ma anche la traduzione italiana contiene un’intelligente gioco di parole a riguardo. Un profilo Facebook restituisce una vita composta di bit che può diventare più vera della vita vera, un’identità in cui cerchiamo di riversare il meglio di noi e che nasconde la durezza e le storture di quello che non ci piace. Questo tematica però viene qui affrontata con intelligenza, con una narrazione punteggiata di episodi che sono uno il gradino successivo dell’altro, un cammino fatto di scoperte, un vero e proprio racconto di una relazione sentimentale cominciata quasi per caso e poi sbocciata in un amore travolgente che, naturalmente, non riesce a concretizzarsi per definizione viste le sue radici. Sviscerare i veri motivi delle azioni e delle sofferenze di Claire sarà complesso per la sua psichiatra, perché questa vicenda non si ferma al mero resoconto di un rapporto ai tempi di Internet, ma cerca anche di scoprire i reali motivi delle azioni di una donna che fa grande fatica a parlare delle ferite più profonde e a dire la verità sulla vendetta che medita contro il suo destino.
La maggior parte delle inquadrature, non a caso, è composta da lunghi e intensi primi piani, parlano moltissimo gli occhi, le espressioni del viso, la gestualità. La paziente e la psichiatra, Binoche e Garcia, sono protagoniste di un’ottima prova attoriale, capaci quindi di dare corpo ad avvenimenti che di fisico non hanno nulla. Questa esplorazione delle infinite identità che possiamo assumere, delle molteplici strade che possiamo prendere nelle vite parallele del Web, rischia di sbandare nel finale per via di una forse eccessiva durata della pellicola, di qualche tono melenso di troppo e per l’inserimento di racconti nel racconto che potrebbero confondere lo spettatore. Certamente una precisa intenzione di Nebbou (qui anche in veste di sceneggiatore), dal momento che parliamo di una storia che può assumere cento forme diverse, tutte fasulle, eppure tutte magari con lo stesso finale, essendoci dietro di queste sempre la medesima persona.
Menzione a parte per l’ammaliante volto di Marie-Ange Casta, quello scelto da Claire per impersonare Clara, una immagine casuale (ma forse neanche tanto) che, da alleata, diventa odiata nemesi.
Non è un film incline alla visione positiva dell’intera questione. E’ bene lottare per avere la meglio sulle asperità della vita e migliorarla realmente, non è una soluzione creare un simulacro che ci piace di più. Anche e soprattutto perché dal mondo virtuale si può non fuggire mai più.
Massimo Brigandì