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Il giustiziere della notte

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VOTO: 5.5

Una vecchia cura contro il crimine

Pare ormai un concetto tanto scontato quanto acquisito: per realizzare un buon remake è necessario aggiornare con nuove e possibilmente radicali idee la base di partenza dell’originale. Operazione che non compie, causa smaccata furbizia, Eli Roth nel suo rifacimento de Il giustiziere della notte. grande successo datato 1974 diretto da Michael Winner che “imprigionò” definitivamente per il resto della carriera un bravo attore come Charles Bronson nel ruolo del freddo ripulitore della melma metropolitana.
Già parzialmente minato nelle aspettative da una lunga gestazione – si parlava di un remake sin dal 2006, con Sly Stallone interessato sia alla parte del protagonista che nelle vesti di produttore – Eli Roth ha rilevato il progetto dalle mani di Joe Carnahan, rimasto nei credits come estensore della sceneggiatura, dirigendo in pratica il suo primo, autentico, film su commissione. Ne è scaturito un lungometraggio abbastanza impersonale, nel quale Roth si è rivelato incapace di scegliere tra le due opzioni che gli si paravano di fronte: quella di satireggiare beffardamente su un’America schiava della sua mentalità da far west sull’uso personale delle armi come difesa e quella di blandire quella gran parte di elettorato trumpiano che vede il possedere un’arma come una inderogabile risorsa nella vita sociale quotidiana. Il risultato è un ibrido dove la sferzante ironia di cui il regista ha dato buona prova ad esempio in The Green Inferno (contro i secondi fini dell’attivismo giovanile) s’intravede solamente a tratti – esilarante e sconvolgente assieme lo spot dell’armeria, a ricalcare i famosi inserti pubblicitari inseriti nel cult Robocop (1987) di Paul Verhoeven – – quasi soffocato da un’ambiguità di messaggio che assolve in modo sin troppo palese le, a dir poco equivoche, gesta del personaggio principale Paul Kersey. Un peccato, poiché una delle variazioni degne d’interesse rispetto al prototipo riguarda proprio la figura del protagonista, per l’occasione affermato chirurgo ospedaliero in una Chicago martoriata dal crimine mentre nell’originale Kersey era semplicemente un ingegnere. Pur restando intatto il percorso narrativo da revenge movie dopo l’uccisione della moglie ed il ferimento della figlia, la tormentata metamorfosi di Kersey da medico deputato a salvare vite umane ad ammazzasette notturno (ribattezzato “Cupo Mietitore” senza molta fantasia nel film) avrebbe richiesto la mano di un Martin Scorsese d’annata – magari accompagnato da uno script di Paul Schrader – per essere descritta in profondità. Compito, in tutta evidenza, superiore alle forze di un Eli Roth che smarrisce, ne Il giustiziere della notte, quasi del tutto anche lo spirito guascone e irriverente che sinora aveva caratterizzato, nel bene e nel male, le proprie precedenti regie.
Anche la performance di Bruce Willis nei panni di Paul Kersey non convince appieno; l’attore sembra spendere gli ultimi spiccioli di un carisma ormai appannato quasi bloccato in un eterno sorrisino che poco si addice alla delicatezza delle tematiche affrontate da un film che difetta, per colpa di molteplici inverosimiglianze di sceneggiatura (ad esempio l’ostentata inettitudine della polizia), persino volendo ricondurlo sui binari del semplice intrattenimento action condito da dosi massicce di violenza. Campo nel quale sarebbero a questo punto preferibili saghe quali quelle di Taken o John Wick. Il più appariscente punto a favore di questa nuova versione de Il giustiziere della notte è quello allora di rivalutare appieno la ruvidezza di un’opera primigenia che, ora come ora, sarebbe davvero impossibile liquidare con la fatidica definizione di destrorsa. Tutto (de)merito dei tempi che cambiano. E non certo in meglio.

Daniele De Angelis

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