Negli sterminati gangli del crimine
Sequel decisamente all’insegna dell’iperbole, questo John Wick Capitolo 2. Aspetto che sarebbe anche normale, nel cinema contemporaneo, se non fosse per l’evidente, ancorché inaspettato, salto in avanti qualitativo dell’intera operazione rispetto al film primigenio. Molto saggiamente, la medesima squadra creativa del primo lungometraggio – composta dal regista Chad Stahelski (stavolta in solitario) e lo sceneggiatore Derek Kolstad – ha deciso di approfondire proprio quei punti in grado di catalizzare l’attenzione dello spettatore in un altrimenti piuttosto banale, sebbene a tratti divertente, revenge-movie modellato su uno stile tipicamente anni ottanta qual’era il John Wick del 2014. Nel seguito si guarda senza timori di sorta al post-post-moderno, alla contaminazione tra generi, ad un tipo di cinema molto stilizzato in grado di affascinare l’appassionato mettendo in primo piano l’idea che il crimine internazionale sia riconducibile ad un unico movimento ben coordinato e molto, molto stratificato. Dando così vita, in pratica, ad un’opera che fa dell’astrazione totale il suo primo ed essenziale punto vincente.
Ritroviamo dunque Keanu Reeves (al solito poco espressivo, ma proprio per questo perfettamente adeguato alla parte) nei panni di John Wick, autentica macchina da guerra dal passato misterioso la quale mai dovrebbe essere riportata alle “vecchie e buone abitudini”. Ci pensa il camorrista su larga scala, tale Santino D’Antonio (!!), sua vecchia conoscenza, a sfruculiarlo incoscientemente facendogli saltare in aria la casa per aver rifiutato di ottemperare ad un presunto impegno preteso dal losco figuro. Il quale, seconda bella sorpresa, è interpretato da un convincente Riccardo Scamarcio in versione villain, di certo in possesso del cosiddetto physique du rôle. Ritenendo perciò scontato che la credibilità narrativa non sia il piatto forte della casa, dopo qualche decina di morti ammazzati si entra finalmente nel mood cercato dagli autori, cioè una sorta di lucido passaggio in stile videogioco da una dimensione di pericolo all’altra. Un procedimento che, trapiantato a forza nella diegesi, non può non ricordare concettualmente quello di un Matrix – in John Wick Capitolo 2 si incontrano di nuovo, iconicamente parlando, Keanu Reeves e Laurence Fishburne; ed è senz’altro un momento di emozione a sé stante – o altre pellicole del genere che facevano del senso di smarrimento rispetto al reale il loro asso nella manica nell’affabulazione nei confronti dello spettatore. E se persino il cameo di una Claudia Gerini ormai disposta a donarsi anima e corpo (soprattutto) in qualsiasi film da lei interpretato di recente, risulta quasi folgorante nell’ambito di una parentesi di ambientazione romana del film capace di dare molti punti di distacco al recente 007 Spectre, ecco allora che il sospetto di stare assistendo alla definitiva affermazione di un oggetto di culto cinematografico prende sempre più corpo.
Senza addentrarci nel dettaglio degli innumerevoli e spettacolari duelli che costituiscono la colonna portante di John Wick 2 né spoilerare l’inquietante finale molto complottista anni settanta che lascia spazio ad ulteriori, imminenti “imprese” di un eroe molto sui generis e sempre più solitario e malandato, resta solo da sottolineare ulteriormente come la conoscenza del cinema del passato possa tramutarsi, in mani avvedute, in un formidabile modo di rinvigorire un genere, quello dell’action all’insegna della violenza più esasperata, di suo piuttosto tendente allo stantio. A patto di accettare le regole di un “gioco” cinematografico che fa della spettacolarizzazione della morte il proprio tratto distintivo. Non esattamente roba per tutti i gusti insomma, anche se dall’ex stuntman Chad Stahelski in cabina di regia, a maggior ragione in seguito alla piuttosto ordinaria mattanza del primo episodio, un lungometraggio così curato dal punto di vista formale non ce lo saremmo mai aspettato. Meno male che esiste ancora un cinema – anche di categoria considerata, a torto o a ragione, ideologicamente “inferiore” – capace di sorprendere lasciando di sé un ricordo su cui meditare anche a giorni di distanza dalla visione.
Daniele De Angelis