Tre donne
Capita che, talvolta, i film ci colpiscano, oltre che per un approccio registico pulito e innovativo, anche per una sceneggiatura robusta e mai scontata. Ed ecco che, improvvisamente, lo sceneggiatore si rivela una figura decisiva (in alcuni casi addirittura più importante del regista) per la riuscita di determinati lungometraggi. Se, ad esempio, ripensiamo all’ottimo Ida di Pawel Pawlikowski (2013), ci rendiamo conto di come il successo di tale pellicola sia dovuto non soltanto alla coraggiosa e innovativa messa in scena adottata, ma anche da uno script di tutto rispetto, a opera di Rebecca Lenkiewicz. Ma cosa accadrebbe, però, se uno sceneggiatore volesse sperimentarsi per la prima volta anche dietro la macchina da presa? Tale curiosità è, di fatto, venuta proprio a Lenkiewicz, che a questa 75° edizione del Festival di Berlino ha presentato in corsa per l’ambito Orso d’Oro Hot Milk, il suo film d’esordio, appunto. Sarà riuscita, dunque, in tale, complessa impresa? Presto detto.
Hot Milk è un lungometraggio tutto al femminile, in cui in una calda estate nella città spagnola di Almeria si intrecciano le storie di tre donne: Rose (impersonata da Fiona Shaw) si è recata lì per un lungo periodo, al fine di farsi curare da un medico alternativo del posto, dal momento che da anni è costretta su una sedia a rotelle, sebbene il suo problema sia probabilmente dovuto a cause nervose; Sofia (Emma Mackey) è la figlia di Rose, la quale, al fine di accudire sua madre, sta quasi rinunciando alla sua stessa vita e non riesce nemmeno a concludere gli studi in antropologia; Ingrid (Vicky Krieps) è, infine, un’affascinante turista tedesca dal passato misterioso, che intreccia una tanto appassionata quanto burrascosa relazione con Sofia. Riusciranno le nostre protagoniste a trovare un proprio equilibrio e a superare i loro traumi passati?
Già da una prima, sommaria lettura della sinossi, dunque, ci rendiamo conto di come Hot Milk non sia affatto un lungometraggio semplice. Le tre donne, ognuna a modo proprio, hanno sostanzialmente tutte numerosi punti in comune. Alla base di tutto: una famiglia disfunzionale, un incidente che ha cambiato per sempre la vita, ma, soprattutto, la mancanza di comprensione e di comunicazione. Il tutto ci viene mostrato quasi esclusivamente dal punto di vista di Sofia e sebbene le scelte narrative (così come la decisione di mostrarci le varie vicende attraverso un sapiente montaggio alternato) si siano rivelate nel complesso piuttosto azzeccate, bisogna riconoscere, però, che a questo primo lavoro di Rebecca Lenkiewicz manchi, purtroppo, qualcosa.
Già, perché, di fatto, se c’è una frase che potrebbe descrivere appieno l’essenza del presente Hot Milk, questa è “vorrei ma non posso”. “Vorrei” effettuare una profonda e mai banale analisi sul vissuto e sulle emozioni di tre personaggi, “ma non posso” perché, probabilmente a causa di un po’ di paura data la portata del progetto stesso, l’intero lavoro finisce per parlarsi addosso, girando pericolosamente a vuoto e presentando al suo interno non solo momenti e dialoghi poco credibili, ma anche non poche forzature, dovute all’intento di inferire a tutti i costi pesanti scossoni emotivi agli spettatori.
E così, nonostante le buone (e ambiziose) intenzioni di base, ecco che Hot Milk risulta un’opera che di quanto realizzato in passato in tutto il mondo ha fatto sì tesoro (impossibile non pensare, ad esempio, al cinema di François Ozon o al recente Ingeborg Bachmann – Journey into the Desert di Margarethe von Trotta, in cui la stessa Vicky Krieps nei panni della celebre scrittrice tanto ricorda la Ingrid di Lenkiewicz), ma che, purtroppo, non è riuscita a trovare una propria identità, rischiando di venire ben presto dimenticata già poco tempo dopo la sua uscita ufficiale. Peccato.
Marina Pavido