Come se nulla fosse accaduto
La nuova sezione Perspectives della Berlinale presenta una serie di opere prime, ognuna con una propria, ben marcata personalità e alla costante ricerca di nuovi linguaggi cinematografici. Una sezione, dunque, almeno sulla carta particolarmente interessante. Ma mentre, talvolta, una scarsa esperienza dietro la macchina da presa può portare dietro di sé non poche problematiche, a volte tali lungometraggi stanno anche a rivelare promettenti talenti. A tal proposito, dunque, decisamente degno di nota è il lungometraggio Growing Down, opera prima del cineasta ungherese Bálint Dániel Sós, che già in questa prima giornata del 75° Festival di Berlino ci pone davanti a quesiti molto più delicati e complessi di quanto inizialmente possa sembrare.
In Growing Down, dunque, la storia messa in scena è quella di Sándor (impersonato da Szabolcs Haydu), rimasto vedovo prematuramente e con due figli in fase pre-adolescenziale. L’uomo, dopo un periodo difficile, tenta di ricominciare una nuova vita e ha da poco intrapreso una relazione con Klára (Anna Hay), la quale è separata e ha anch’ella una figlia della stessa età di suo figlio minore Dénes. Le cose sembrano andare per il meglio, fino a quando, durante la festa per i dodici anni di Dénes e di Sári (figlia di Klára), quest’ultima non cade in una piscina vuota, sbattendo la testa e finendo in coma. Szabolcs, però, ha assistito per caso alla scena dell’incidente e ha visto che è stato proprio suo figlio (che in passato ha avuto parecchi problemi con la gestione della rabbia) a spingere la bambina, facendola inavvertitamente cadere. Che fare, dunque? Dire la verità alla polizia, facendo finire il bambino nel carcere minorile, o raccontare a tutti una diversa versione dei fatti?
Il protagonista, dunque, non ha alcun dubbio in merito: suo figlio deve poter vivere la propria vita come tutti gli altri suoi coetanei. Ma come fare con i sensi di colpa? E, soprattutto, come si sente lo stesso Dénes, dal momento che è costretto a custodire un segreto di tale portata? In Growing Down, tali importanti interrogativi ci vengono presentati già dopo pochi minuti dall’inizio del lungometraggio. Ed è proprio tale dilemma, tale straziante conflitto interiore la vera peculiarità di questa opera prima di Sós. Nel mettere in scena, infatti, la storia dei protagonisti, il regista si è innanzitutto rivelato un grande conoscitore dell’animo umano, perfettamente in grado di rappresentare le più contrastanti emozioni sul grande schermo senza mai scadere nel banale, in una storia in cui nessuno è veramente colpevole né innocente.
A tal fine, dunque, un ruvido bianco e nero si è rivelato la giusta soluzione per descrivere la realtà in cui vivono i protagonisti. Una realtà in cui una costante incertezza (quella di Szabolcs, per quanto riguarda i comportamenti sempre più “estremi” di suo figlio, e quella di Klára, per quanto riguarda la sorte di sua figlia) porta a una quotidianità sterile e stagnante, in cui è innanzitutto una costante tensione a fare da protagonista assoluta. Siamo d’accordo: Growing Down non è un lungometraggio perfetto e di problematiche ne ha parecchie (oltre, infatti, ad alcuni snodi narrativi riguardanti principalmente le indagini della polizia che presentano parecchi buchi al proprio interno, l’intero lavoro, man mano che ci si avvicina al finale, perde pericolosamente di verve). Eppure, nonostante ciò, dobbiamo riconoscere che il regista ha saputo sotto molto aspetti dare prova di un promettente talento. Un talento ancora acerbo e a volte maldestro, ma che promette di regalarci, in futuro, tante belle soddisfazioni.
Marina Pavido