Home Festival Berlino 2023 Ingeborg Bachmann – Journey into the Desert

Ingeborg Bachmann – Journey into the Desert

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VOTO: 7

Un’eroina postmoderna

Qual è il ruolo della donna all’interno della società in cui viviamo? Quando è pronto il mondo a “riconoscere” la libertà di azione e di pensiero di ogni essere umano? E, soprattutto, quali sono i processi che portano alla sofferenza dell’essere umano in quanto tale? Sono, queste, tematiche particolarmente care alla celebre scrittrice e poetessa austriaca Ingeborg Bachmann (1926 – 1973). Tematiche spesso spinose e complesse da trattare, ma, oggi come ieri, ancora più che mai attuali. Lo sa bene la regista tedesca Margarethe von Trotta, la quale, con il suo lungometraggio Ingeborg Bachmann – Journey into the Desert, presentato in anteprima mondiale in concorso alla 73° edizione del Festival di Berlino, ha voluto realizzare un intimo ritratto dell’autrice partendo innanzitutto da un’importante vicenda personale.

Fragile, sensibile, ma anche estremamente intelligente, indipendente e arguta, Ingeborg Bachmann (qui impersonata dall’apprezzata Vicky Krieps) ha avuto, nel corso della sua vita, una turbolenta relazione con lo scrittore svizzero Max Frisch (Ronald Zehrfeld), che la ha profondamente segnata. Ingeborg Bachmann – Journey into the Desert si concentra, dunque, proprio su questo delicato periodo e, sviluppandosi su due livelli temporali, ci mostra, al contempo, un viaggio nel deserto a cui l’autrice ha preso parte insieme al regista e scrittore Adolf Opel (Tobias Resch), proprio con l’intento di “guarire dalle sue ferite interiori”.
Un’operazione, la presente, particolarmente interessante. Soprattutto se si pensa che, in questo modo, la protagonista ci appare ancora più umana, ancora più vicina a lettori e spettatori, rendendo chiari, al contempo, i processi che hanno portato alla realizzazione di alcune delle sue opere più celebri (tra cui il discorso, tenuto a Berlino, “L’uomo può esigere la verità”). Poco male, dunque, se, proprio per quanto riguarda la sua carriera, si sarebbe necessitato di un approfondimento maggiore. La Ingeborg Bachmann di Margarethe von Trotta arriva al pubblico con tutta la sua potenza emotiva e con tutta la sua disperata voglia di libertà. Lo testimoniano ampi spazi aperti, luci calde, sfrenate corse nel deserto e strade di Roma dove incredibilmente vivi e pulsanti sembrano tutti i suoi cittadini. E tutto ciò si contrappone sapientemente ai colori freddi di Zurigo (dove Bachmann ha vissuto con Frisch per diverso tempo), a interni perfettamente ordinati e sterili e a stanze di ospedale che altro non fanno che accentuare ulteriormente un forte, fortissimo senso di claustrofobia.
Margarethe von Trotta ci ha regalato, nonostante qualche piccola “mancanza”, un lungometraggio più che dignitoso, oltre a un prezioso ritratto di una donna coraggiosa e anticonformista, che, nel corso della sua vita, si è spesso schierata contro tutto e tutti al fine di far valere le proprie idee. Un’eroina dei decenni passati di cui, ancora oggi, si sente fortemente il bisogno.

Marina Pavido

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