Soggiorno con vista
Oltrepassata la boa dei settant’anni Robert Zemeckis (classe 1952) affronta direttamente il “tabù” di una vita, artistica e non solo. Cioè quel Totem sacro ed inamovibile chiamato Tempo. Come un vento che soffia placido ma costante. O un fiume che scorre ad una perenne, implacabile, velocità. Here significa qui, adesso. L’idea di riprendere la vita da una stanza concede il regalo di un presente che il Cinema polverizza immediatamente in un passato prima prossimo poi remoto.
Zemeckis, dunque, prova a cavalcare il Tempo. Ma non nello stile giocoso e in parte gioioso della saga di Ritorno al Futuro. Si parte, ovviamente, con i dinosauri. L’inizio della vita conosciuta. Come nel seminale The Tree of Life (2011) di Terrence Malick. Poi i nativi americani, legittimi proprietari di quella terra. Dove sorgerà un’abitazione ed il suo soggiorno, punto di vista privilegiato di un’opera in cui si alternano differenti famiglie nel corso degli anni. Ma anche convivono, grazie alla messa in scena talvolta suddivisa in diversi riquadri causa teorica e puntuale scelta registica. Ma non pensate ad uno dei freddi esperimenti tecnici con i quali Zemeckis ci ha qualche volta sorpreso, in negativo, nel passato. Cose tipo Polar Express (2004) oppure La leggenda di Beowulf (2007) si stampavano nella memoria solo ed esclusivamente per innovazione formale. Al pari dell’acclamato Chi ha incastrato Roger Rabbit? (1988) fulgido esempio di convivenza tra live action e cartoon ormai radicato nell’immaginario cinefilo di tutto il mondo. In Here si sperimenta sì, a livello di immagine. Eppure lo sguardo è strettamente collegato al cuore, all’idea che il Tempo concesso per vivere una vita, nascere, crescere, amare ed invecchiare, è limitato. E può essere tanto, persino troppo. Ma anche (spesso) troppo poco.
Vediamo gli Young coppia piccolo borghese acquistare il famoso appartamento e la fatidica stanza. Rivediamo Tom Hanks, uno dei loro figli, in versione giovanile. Procedimento realizzato grazie all’intelligenza artificiale, criticato e criticabile in futuro, ci si può scommettere. Però il cuore di ogni spettatore trattiene i propri battiti quando il giovane Young (Hanks, appunto) si innamora della coetanea Margaret, una Robin Wright anch’essa ringiovanita dall’AI. Zemeckis gioca su sicuro, mostrando l’altro lato di Forrest Gump (1994). Cioè una comunissima vita borghese da vivere nell’anonimato, con sogni irrealizzati a costellarne l’esistenza. Un’altra stretta al cuore. Toccare con mano il Tempo che vola via, di una vita dedicata alla famiglia senza pensare a sé stessi, sacrificando ogni attimo di quel Tempo generosamente (?) elargito. Poi la separazione, la vecchiaia e il riavvicinamento. Impossibile non commuoversi.
Prima un’altra famiglia, ad abitare casa e soggiorno. Una coppia giovane, a simbolizzare una speranza che rimarrà poi del tutto inespressa nella diegesi di Here. Chiudono gli Harris, coppia afroamericana che segna una rottura nella tradizione wasp degli abitanti della stanza. Fino ad un certo punto, almeno. Un brusco ritorno alla tristissima realtà socio-politica quando il padre spiega nel dettaglio al figlio adolescente come sopravvivere, da nero, ad un semplice controllo della polizia. Che prima o poi certamente avverrà.
Here, ispirato dalla graphic novel omonima di Richard McGuire, è magnifico poiché Zemeckis non nasconde la paura della fine. Morire, in fondo, è solo una questione di Tempo. E all’interno di quell’arco temporale c’è il segreto che ognuno di noi custodisce a proprio modo: la risposta se ne sia valsa la pena o meno. Un’opera come Here può senza dubbio condurre alla riflessione nonché aiutare a dissipare i dubbi. Anche senza dinosauri, volendo.
Daniele De Angelis