Cameratismo robotico
In una ventunesima edizione del Far East Film Festival marchiata a fuoco dalla folle genialità di Takeuchi Hideki, autore pochi anni fa di Thermae Romae ed ora del non meno scanzonato Fly Me to the Saitama, non c’era forse spazio per elevare a “cult” altre bizzarrie cinematografie in arrivo dal paese del Sol Levante. Specie se non corredate dallo stesso ritmo folle e da un eguale numero di gag. Ne deriva il fatto che di HARD-CORE si sia parlato relativamente poco. Nonostante sia poi uno come Yamashita Nobuhiro, cineasta nipponico amatissimo a Udine (e non solo) per opere lievi e anti-conformiste quali My Uncle (2016), Over the Fence (2016) e, soprattutto, l’indimenticabile Linda Linda Linda (2005), ad averlo diretto. Convinti invece noialtri che il talento di Yamashita Nobuhiro non sia affatto passato di moda, in questa rivisitazione così personale del manga di culto Hard-Core Heisei Hell’s Bros. abbiamo intravisto diversi spunti illuminanti, degni di nota.
Difatti, nell’adattare per lo schermo le iperboliche situazioni rappresentate nel fumetto, Yamashita Nobuhiro sembra aver agito principalmente per sottrazione; senza annullare del tutto l’elemento sorpresa rappresentato dal ritrovamento di uno strano robot, dai suoi poteri tutti ancora da scoprire, dalla curiosa e a tratti sibillina interazione di tale intelligenza artificiale coi personaggi umani; ma a fianco del versante fantastico, prettamente fumettistico, l’autore ha saputo sviluppare un controcanto del Giappone attuale intimamente crepuscolare, livido, laddove la classica “poetica dei losers” diviene grido soffocato dei non integrati in una gerarchia sociale conformista e bloccata.
Non a caso i due protagonisti umani, il belloccio rabbioso e il giovane grassoccio apparentemente ritardato si confrontano con la società mettendola in discussione, a partire dalla loro adesione a un piccolo movimento estremista e populista, il cui anziano leader pare quasi un cantore del Giappone tradizionale alla Mishima.
Ma pure questa esperienza di vita rivelerà i suoi lati oscuri. E tra incontri con personaggi femminili decisamente ambigui, azioni insensate, ricerca di tesori perduti, apparizioni improvvise del robottone di turno in versione “deus ex machina”, riferimenti trasversali al microcosmo sommerso della Yakuza, sguardo corrucciato sulla competitività sociale in voga nel paese e parziale riscatto dei protagonisti in prossimità dei titoli di coda (con una consolatoria scena finale che, invero, rischia di apparire un po’ appiccicaticcia), un lungometraggio alquanto naif come HARD-CORE riesce, pur con qualche scompenso narrativo, a tenere miracolosamente legati l’eccentrica parafrasi del manga cui è ispirato e una critica non peregrina del Giappone attuale, del suo respingere ai margini chiunque non sia omologato.
Stefano Coccia