Un intreccio di storie
In attesa dell’uscita nelle sale nostrane con Fandango, Happy Holidays di Scandar Copti è stato protagonista in una serie di prestigiose kermesse del circuito festivaliero presenti su suolo italiano come il Bif&st, il FESCAAAL e la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, laddove si è aggiudicato il Premio per la Migliore Sceneggiatura nella sezione “Orizzonti” in occasione dell’anteprima mondiale. Ed è proprio nella scrittura dello stesso regista e artista palestinese che si può rintracciare una delle qualità di un’opera seconda che convince da tanti punti di vista. Gli stessi dei quali il pubblico e gli addetti ai lavori avevano potuto godere anche nel suo pluridecorato esordio dal titolo Ajami (co-diretto con Yaron Shani), nominato agli Oscar 2010 nella categoria Miglior Film Straniero e vincitore tra gli altri della Menzione Speciale della Caméra d’Or al Festival di Cannes nel 2009.
Il cineasta originario di Giaffa si concentra nuovamente sulla multidimensionalità della vita nell’Israele contemporaneo, che esplode con sottotesti non detti e tensioni irrisolte, sia a livello personale che politico. Lo fa con una stratificata e fitta rete di relazioni ramificate e di eventi suddivisi a loro volta in diversi capitoli e mini-storie che si sovrappongono e scorrono in un ordine non strettamente cronologico, dando forma e sostanza narrativa e drammaturgica a un mosaico di quattro storie interconnesse A passarsi di volta in volta il testimone sono: Rami, palestinese di Haifa, che deve fare i conti con la sua ragazza ebrea che ha cambiato idea sul suo aborto programmato; Hanan, madre di Rami, che affronta una crisi finanziaria; Miri che è costretta ad affrontare la depressione della figlia e Fifi nasconde un segreto che potrebbe mettere a rischio la reputazione della famiglia.
Il risultato è un intreccio di esistenze e un giro di vite che svela e porta alla luce bugie e verità non dette che semineranno divisione in una società patriarcale dalle mille sfaccettature, soffocata da dall’intersezione di istituzioni statali, convenzioni culturali e pressioni sociali, quest’ultime imprescindibili da quelle politiche. La bravura e l’abilità di Copti sta nell’essere riuscito ancora una volta a cogliere le ansie quotidiane e incanalarle in un timing di poco più di due ore che non pesano affatto. Happy Holidays nel suo fluire non conosce momenti di stanca, tantomeno flessioni o passaggi a vuoto dettati da futili digressioni. L’autore va infatti sempre al sodo e al nocciolo della questione senza tergiversare, semmai si prende quei tempi fisiologici utili per dare il giusto respiro, anche con una regia asciutta e al completo servizio della storia e dei personaggi, alle singole scene e restituire tutto il realismo, la verità e la naturalezza, che è abilissimo a ottenere attraverso l’efficacissimo lavoro con attori non professionisti. Questa pratica neorealista è senza alcun dubbio il suo punto di forza e l’altro valore aggiunto di un film che ricorda gli scenari cinematografici di Asghar Farhadi e le sue inquietudini quotidiane, capaci come poche altre di esaminare criticamente i suddetti oppressivi meccanismi e il loro impatto sui valori degli individui.
Francesco Del Grosso









