Voglia di libertà
C’è chi ha definito Green Night di Han Shuai, presentato in concorso 37° MiX Festival Internazionale di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer di Milano dopo l’anteprima mondiale nella sezione “Panorama” della 73esima Berlinale, un Thelma & Louise in versione orientale. Un paragone, questo, accettabile pensando alle assonanze tra i due film, se non fosse che nel cult di Ridley Scott del 1991 lo scheletro western che fa da sfondo al road movie e al dramma accompagna lo spettatore in un viaggio fisico e interiore dall’Arkansas all’Oklahoma, fino al Colorado, mentre nella pellicola della regista cinese il tour sulle due ruote e non sulle quattro delle protagoniste si consuma quasi interamente nell’area metropolitana di Seoul, le cui notti sono illuminate dai neon e dalle luci acide di una fotografia che riportano la mente del cinefilo più colto alle vesti cromatiche del cinema di Hsiao-Hsien Hou e di film come Millennium Mambo o Three Times.
Nella sua opera seconda dopo il pluripremiato Summer Blur, la cineasta nativa dello Shandong racconta di un incontro che cambierà in maniera indelebile la vita di due donne che si incontrano all’aeroporto di Seoul e che non potrebbero essere più diverse. Immigrata cinese, Jin Xia lavora al checkpoint della sicurezza e indossa la divisa d’ordinanza. Ha sposato un uomo coreano per regolarizzare la sua posizione. La ragazza che perquisisce ha i capelli verdi, è eccentrica e non si scompone. Xia ne è affascinata. In seguito, quando la ragazza trascina Xia nello spaccio di droga, diventa chiaro che hanno molto più in comune di quanto potesse sembrare. Alla ricerca del colpo grosso che le avrebbe liberate dalle rispettive dipendenze, si avventurano nella malavita sudcoreana e si alleano contro il marito violento di Jin Xia, che la maltratta, la opprime e la domina con quotidiana brutalità. Combattenti sole e disperate, che hanno imparato a fidarsi solo di se stesse, a volte si attraggono, a volte si respingono, mentre il loro piano si ritira sullo sfondo. Il legame che le unisce quando corrono in motorino per la città di notte sembra fragile, ma è inevitabile.
Con questa perla grezza e una lente femminista inusuale per una regista cinese, la Shuai continua il suo discorso personale su tematiche a lei care e chiave del suo cinema come la condizione femminile nel Continente asiatico, gli stereotipi di genere e il patriarcato che schiaccia le donne nella società odierna. Lo fa facendo suoi e utilizzando i codici del noir, del thriller e del revenge movie, incastonati all’interno del dramma sociale, quello che vivono milioni di donne come lei, con tutte le fragilità e l’incapacità di rapportarsi a un universo maschile assolutista e prepotente. Ed è con film come Summer Blur prima e Green Night poi che prova con tutti i mezzi che la Settima Arte le mette a disposizione, compresi i dialoghi (vedi quello potentissimo e senza filtri che va in scena nella camera d’albergo) e i personaggi stessi, a provare a dare alle donne quelle occasioni di libertà che la vita reale non offre loro. Con questi “armi” e con un mix di emozioni fortissime e cangianti che l’autrice combatte la sua guerra di liberazione. Un guerra che siamo sicuri non finisce qui, portata avanti colpo su colpo, film dopo film. E Green Night è uno di questi, ossia un colpo sferrato alla bocca dello stomaco, di quelli che lasciano senza fiato.
Francesco Del Grosso