La spericolata genesi di un cult movie
Il battesimo del fuoco per il Fantafestival 2023 avverrà in sala il 5 ottobre, cioè domani, nell’ormai consueta cornice del Nuovo Cinema Aquila. Ma già nella serata di martedì 4 ottobre è prevista una gustosa, preziosa anticipazione: l’omaggio a Ruggero Deodato, rappresentato per l’occasione dalla riproposizione online (ore 21) di un documentario diretto da Michele De Angelis nel 2003, ovvero Nella giungla: The Making of Cannibal Holocaust.
Doppio omaggio, quindi, visto che di Michele, la cui precoce scomparsa non sarà mai sufficientemente rimpianta, continuiamo a scoprire o riscoprire lavori da cui oltre alla straordinaria competenza emerge una passione per il cinema, di genere e non, davvero d’altri tempi.
Cannibal Holocaust venne realizzato nel 1980. Oggi siamo nel 2023. Pertanto il lavoro realizzato da Michele De Angelis nel 2003 costituisce una sorta di isola nello spazio-tempo, un ipotetico spartiacque idoneo a definire meglio ciò che ha rappresentato tale pellicola nell’immaginario collettivo. Ci fa invero assai piacere essere stati informati del fatto che tale contributo sia tornato disponibile, peraltro, anche in home video, proprio come bonus dell’edizione 4K di Cannibal Holocaust.
Corsi e ricorsi storici: nel documentario si ascolta più volte un Luca Barbareschi, provocatorio come sempre, teso a ribadire la grande confidenza di Deodato con ogni aspetto del mezzo cinematografico, al punto di compararne il bagaglio tecnico e stilistico con quello di “autori” a suo dire sopravvalutati ma più vicini alla sensibilità di certe aree politiche. L’attore ironizza anche su qualcuno che anni prima era stato premiato a Cannes… per quanto il nome non venga mai esplicitato, davvero difficile non pensare subito al Moretti di Caro diario. E persino chi, come noialtri, si lasciò sedurre all’epoca da quel suo lavoro cinematografico, può permettersi di ridere sotto i baffi qualora nel Nanni Moretti odierno riveda amplificata quella propensione al “politicamente corretto”, non sempre sorretta da un’adeguata impronta registica.
Perdonateci la lunga digressione. Del resto tra i tanti meriti del lavoro di Michele De Angelis vi è anche quello d’aver spinto a parlare con grande schiettezza di quel set dannatamente complicato, perso nel cuore dell’Amazzonia, non soltanto il già menzionato Barbareschi, ma anche il direttore della fotografia Sergio D’Offizi, il musicista Riz Ortolani (suoi gli importanti collegamenti con la precedente, seminale esperienza di Mondo cane), lo scenografo Massimo Antonello Geleng e naturalmente lo stesso Deodato, intercettato forse in quel di Cannes, stando a certe scritte sullo sfondo. Innumervoli gli argomenti affrontati in circa un’ora di montato: la complessa ricerca in Sudamerica della location giusta, il rapporto con gli Indios, la natura selvaggia, la presenza o meno di un “messaggio” politico e sociale, le comprensibili critiche degli animalisti per scelte che oggi sarebbero impensabili, l’ammirazione per tale film di alcuni Maestri d’oltreoceano, il conflitto con la censura italiana. E tanto altro ancora, in una rievocazione tanto serrata quanto folgorante, matura e diversificata nell’analisi. Con i diversi approcci portati dai protagonisti ad assicurare poi continue variazioni di tono: la signorilità di Sergio D’Offizi, la sfacciataggine di Luca Barbareschi e la ficcante ironia di Riz Ortolani, volendo provare a definire alcune impronte caratteriali. In tutto ciò, il mito di Cannibal Holocaust rifulge continuamente, seppur evocato da foto di scena e spezzoni dalla durata quasi subliminale, che Michele De Angelis si è divertito a montare con una cifra stilistica, collocabile in modo quasi spensierato tra il pop e le avanguardie, sempre molto personale.
Stefano Coccia