Gaudeamus igitur
Un mondo di casermoni, case alveari, anonimi non luoghi, una cittadina di montagna della Transilvania, ma potrebbe essere una periferia in una qualsiasi città del mondo, fa da teatro alle vicende di Romeo Aldea, un medico di mezza età, alle prese con una figlia che ha subito un’aggressione e che dovrebbe conseguire il diploma delle superiori per poi poter trasferirsi con borsa di studio in un’università inglese, con un’amante e con un misterioso vandalo che gli frantuma i finestrini a sassate o gli fa dispetti come alzargli i tergicristalli. Con questa vicenda narrata in Un padre, una figlia (Bacalaureat il titolo originale) il regista Cristian Mungiu, tornato in Concorso al Festival di Cannes 2016, offre un nuovo desolante spaccato della società del suo paese, in un piccolo agglomerato urbano, desolato, dove circolano tanti cani randagi. Una battuta chiave arriva verso la metà del film: Romeo si rammarica che nel 1991 lui e i suoi coetanei, dopo la caduta del regime, decisero di rimanere nel paese per ricostruirlo, animati da quel fermento tipico del dopo di una rivoluzione. Un senso forte di disillusione lo porta ora a fare il possibile, finanche carte false, affinché la figlia possa invece trasferirsi da quel mondo e studiare in un’università britannica.
Romeo è una figura, squallida, mediocre, ritratto di una piccola borghesia mediocre del paese. Contradditorio, doppio e falso. Quando viene a sapere che la figlia ha perso da poco la verginità con il suo fidanzato, dal referto della polizia sulla violenza subita da cui si evince, avendo accertato che non ha subito uno stupro, che non è illibata, si indispettisce e se la prende con la moglie, con cui invece la figlia si era confidata, per non averglielo riferito. Ma a sua vola lui ha una relazione adulterina con una bella amante che mantiene segreta. Sarà la figlia, che è a conoscenza di questo segreto non si sa come, a intimargli di rivelarlo alla madre, che pure sa o sospetta qualcosa. Il mondo del film è un piccolo spaccato di società dove tutti si osservano, o si spiano, dove tutti hanno piccoli segreti inconfessabili, dove tutti sanno qualcosa in più di quello che dovrebbero. E dove a essere elusa è invece l’onniscienza dello spettatore cui Mungiu lascia non pochi elementi irrisolti. Chi ha aggredito la ragazza? E chi è il misterioso vandalo che lancia i sassi contro i finestrini di Romeo? Il bambino mascherato? O uno degli altri personaggi? E per quale motivo? E forte è il sospetto che la figlia abbia macchinato qualcosa, forse per non volere andare all’estero.
La visione del regista rimane distante, un’osservazione da lontano come quella della videocamera di sorveglianza che riprende dall’alto. Che non permette di scoprire quello che si vuole, l’identità dell’aggressore, ma da cui si vengono a conoscere verità inaspettate, la bugia del fidanzato in merito al suo mancato intervento a difesa della ragazza. È una società che sembra destinata al quieto vivere, all’inazione e quando qualcuno si ribella può commettere azioni che gli si rivoltano contro. Romeo che è rimasto in Romania dopo la rivoluzione, il boyfriend della figlia che non interviene quando questa viene aggredita, pur trovandosi a un passo di distanza. E aleggia per tutto il film il senso della corruzione, dei piccoli aggiustamenti di nascosto, delle piccole raccomandazioni. Romeo cercherà di sistemare e pilotare la promozione della figlia, sobillato dal suo losco paziente, con un intervento quindi a fin di bene ma illecito. E i poliziotti sembreranno comprensivi nel merito, per poi arrivare in realtà a un piccolo e sottile ricatto. In una centrale di polizia che sembra perdersi nella burocrazia, dove c’è anche un agente che dorme bellamente. Non importa se ci sono degli ostacoli, tutto in qualche modo si aggiusterà. “Vedremo come si sviluppa” si dice. Sarà poi il collasso della nonna, del quale è la figlia ad accorgersi, il vero sasso narrativo lanciato nel film, a rimettere in discussione i vari fili e raccordi e a far riscoprire i legami famigliari. Non resta che lasciare che le cose vadano come devono andare, con il diploma della figlia. Gaudeamus igitur…
Il nuovo cinema rumeno sembra spesso scientemente porsi in un bilico tra la fetta di vita e la fetta di torta hitchcockiana. Lo fa spesso in maniera scientificamente calcolata, come in Aurora di Cristi Puiu o The Treasure di Corneliu Porumboiu. E lo fa anche Mungiu con questa narrazione di sassi tirati in uno stagno altrimenti piatto, sassi che non sempre arrivano alla destinazione voluta.
Giampiero Raganelli