La (poca) follia di un fantasy convenzionale
Che il mondo fantastico e assurdo uscito dalla penna di Lewis Carroll centocinquanta anni fa avesse non pochi problemi con le trasposizioni cinematografiche è oramai cosa nota.
Dal classico animato Disney del 1951 fino alla conversione in live action di Tim Burton del 2010, è sempre stato chiaro quanto la filologia e il rispetto dell’opera originale non fossero tra i maggiori crucci di produttori e registi.
Eppure mai come in Alice attraverso lo specchio, seguito (non proprio) naturale di Alice in Wonderland, questo totale svincolamento diviene evidente e assoluto.
Continuando il lavoro “mitopoietico” iniziato da un Burton perso per strada, riprendendone gli stilemi più evidenti e caratteristici per non tradire una continuità per lo meno visiva, James Bobin afferra le redini di un franchise divenuto, definitivamente, una saga a sé stante.
Nella vicenda di un Alice (ancora Mia Wasikowska, riconfermata assieme a gran parte del cast) oramai donna fatta e di successo, richiamata in quel di Sottomondo per salvare l’amico Cappellaio da una mortale afasia, ben poco infatti resta del carrolliano “Attraverso lo specchio” e quel che Alice vi trovò cui il film, almeno stando al titolo, dovrebbe ispirarsi.
Dell’opera originale non rimane invece che un timido omaggio iniziale, prima di perdersi irrimediabilmente nelle roboanti avventure di un fantasy, ancora (e più di) una volta, estremamente tradizionale.
Tra derive steampunk e paradossi, viaggi nel tempo e antefatti posticci, Alice smarrisce sé stessa in un universo mai così elaborato e debordante, fascinoso, sì, ma, in fin dei conti, arido e convenzionale, dove la meraviglia, che visivamente ancora sopravviveva nel suggestivo mondo gotico di Burton, lascia il posto a una trama piuttosto prevedibile e a uno spirito avventuroso davvero poco inventivo, sorretto quasi totalmente da una sorprendente quanto esasperata esplosione di effetti speciali.
Trionfo in CGI, avventura picaresca e pirotecnica, universo fantastico in continua espansione, Alice attraverso lo specchio, infondo, privo com’è di eccessive cadute di stile o grandi strafalcioni in sceneggiatura, come fantasy a se stante potrebbe anche funzionare, ma spiace vedere un intero mondo di possibilità perdersi in una storia pericolosamente vicina a una dispendiosa fan fiction, che di quel mondo ha perduto la perturbante e geniale essenza e, forse, anche la memoria.
Mattia Caruso