Un film che non decolla
“Ho lavorato per 23 anni per la giustizia di questa città. Ora chiedo che venga fatta giustizia nei miei confronti”.
Da sole, queste frasi, pronunciate da Lawrel Hester di fronte ai cinque funzionari della Contea del New Jersey, potrebbero risolvere la trama di Freeheld – Amore, Giustizia, Uguaglianza, la nuova pellicola di Peter Sollett presentata a Roma in occasione della Festa del Cinema Edizione 2015 e presto in uscita nelle sale.
Laurel Hester (Julianne Moore) è un’agente di polizia: solida, determinata e pragmatica, possiede tutte le qualità per portare avanti al meglio la propria professione e sogna di diventare tenente.
Ma agli occhi del reazionario stato del New Jersey, Laurel è portatrice di un “handicap”: è omosessuale, e si innamora perdutamente di Stacie (Ellen Page) con cui decide di andare a convivere per trascorrere insieme il resto della vita. Ma il dramma deve ancora scoppiare: Laurel scopre presto di avere un tumore che la ucciderà nel giro di pochi mesi, e sfrutta il poco tempo che le rimane per chiedere che sia fatta giustizia nei suoi confronti. Nel New Jersey, infatti, se una persona muore, la propria pensione viene automaticamente dirottata sul coniuge; a Laurel e Stacie, in quanto coppia omosessuale, questo diritto viene negato. Siamo nei primi anni 2000 e, nonostante l’avanzamento dei tempi, la battaglia di Laurel e Stacie sembra non avere speranze.
Tratto dall’omonimo documentario Premio Oscar, Freeheld – Amore, Giustizia, Uguaglianza rappresenta quella rischiosa casistica in cui la persona finisce per fagocitare il personaggio; con la realtà stessa a divorare il racconto della realtà. Il film in sé commuove o suscita rabbia a seconda dei momenti; fa sorridere in certi passaggi e rattrista in altri, ma non è grazie all’abilità estetica che viviamo così intensamente il dramma, quanto, piuttosto, grazie al dramma stesso, raccontato, tutto sommato, in modo abbastanza didascalico e impersonale: una semplice cronaca di come effettivamente sono andate le cose, senza nulla aggiungere, al di là della senz’altro magistrale interpretazione delle attrici – è il caso di dirlo, Julianne Moore non ne sbaglia una – e qualche patinata scena di tenerezza, cui una discreta abilità fotografica presta il proprio contributo, creando spensierati contesti da Mulino Bianco ai quali viene aggiunto un tocco di malinconia e sospensione che lascia intendere che qualcosa sta per accadere.
Piccoli trucchi registici cui Peter Sollett ricorre per provare a distinguere il film dal documentario; ma quello che ne esce è la classica pellicola americana un po’ commovente e talora un po’ patetica, tutti consapevoli che il risultato finale non potrà mai essere del tutto scadente grazie alla potenza del soggetto narrato.
Costanza Ognibeni