C’eravamo tanto stimati
Esiste un cinema che ci intrattiene, fatto di storie, personaggi e generi differenti nei quali immergerci senza remore. C’è poi un altro tipo di cinema: del quale, se fosse un quadro, diremmo che lo sfondo è quasi più importante di ciò che appare in primissimo piano. Questo è il cinema appartenuto ad Ettore Scola, questo è il cinema che ha saputo raccontare l’Italia assai meglio di qualsiasi altro medium giornalistico, fosse esso cartaceo oppure televisivo. Perché in certi frangenti, esattamente come per la pittura, è la prospettiva dello sguardo a risultare ben più che determinante. E le opere cinematografiche dirette da Ettore Scola – tutte, capolavori oppure lavori semplicemente riusciti o meno – avevano questo comune denominatore: la chiarezza della descrizione sociale del momento. Quell’attimo, brevissimo o lunghissimo che sia stato, capace però di fare la Storia del nostro paese, della sua parte migliore e peggiore, della sua comunque incrollabile sete di vita.
Con Ettore Scola, scomparso la sera di un 19 gennaio 2016 qualunque, ad ottantaquattro anni di età vissuti in perenne curiosità verso le cose, se ne va una parte dell’Italia migliore, come adesso dicono anche quelli che vedevano il suo “essere di sinistra” al pari di un insuperabile preconcetto ideologico a carattere distorsivo. Nulla di più sbagliato; poiché Ettore Scola possedeva la sopraffina capacità di osservare gli eventi – anche quelli da lui rielaborati in chiave di finzione, assieme ad una nobile stirpe di sceneggiatori di cui da tempo si è perso lo stampo – a trecentosessanta gradi, nel nome di una completezza che è sempre scaturita da un’integrità morale al di sopra di qualsiasi sospetto di schieramento politico. In un paese, peraltro, ben allenato alle divisioni dai tempi dei Guelfi e dei Ghibellini, per non andare troppo oltre con la memoria storica.
Certamente grande è stata l’attenzione, da parte del cinema di Scola, alla cosiddetta classe media, quella che negli anni sessanta-settanta ha fatto da propulsore silenzioso alle conquiste sociali del paese. Basterebbe forse un affresco del calibro di C’eravamo tanto amati (1974) a far considerare Ettore Scola uno dei maggiori autori del suo tempo e non solo. Un lungometraggio che accompagna perfettamente per mano i suoi personaggi verso la conoscenza di se stessi e di un’Italia ancora in formazione, in un periodo in cui sarebbe potuta divenire qualunque altra cosa rispetto a ciò che è diventata oggi. Si scorgeva, anche nel dramma più cupo, una luce di speranza. Un cambiamento in meglio, affidato direttamente ad una classe dirigente degna di questo nome, da quel popolo che allora contava eccome, sapendo amare, gioire e disperarsi con consapevolezza. Come del resto sarebbe accaduto un paio di anni dopo in Brutti, sporchi e cattivi (1976), acutissima analisi in chiave di commedia umana, di un contesto sociale – quello di una sorta di baraccopoli alle porte della Capitale – talmente rimosso da sembrare degno di un ipotetico Pasolini perfettamente inserito in un cinema sospeso tra impegno civile e (amaro) divertimento. E non poteva mancare, nell’attento sguardo del regista campano, una particolare attenzione nei confronti di una borghesia capace tanto di slanci generosi quanto di pulsioni auto-distruttive. Un ritratto critico descritto nel capo d’opera La terrazza (1980), ricco di caratteri pennellati con una veridicità senza eguali, o tendenzialmente nostalgico come nel poetico La famiglia (1987), opera in cui affiora con nitore il rimpianto per un tempo che inesorabilmente, nel bene e nel male, scorre nella grande casa di famiglia.
Un cinema che non poteva esimersi dal fare i conti con il proprio passato, sempre percependolo come patrimonio culturale comune. Lo splendido Una giornata particolare (1977) affronta il fascismo per perifrasi attraverso l’infelicità personale, l’insicurezza del non detto perché la rigidità estrema delle convenzioni sociali dell’epoca non poteva permetterlo. Una condanna “consequenziale” del regime basata sulla semplice ottemperanza di ruoli che non prevedevano deroghe, né per donne né, tantomeno, per omosessuali.
Abbiamo citato pochi, pochissimi titoli di una filmografia straordinariamente ricca non solo a livello numerico. E ne siamo consapevoli. Ma guardando a ritroso i personaggi, i volti del cinema di Ettore Scola non si può fare a meno di provare un senso di vertigine. Soprattutto nei confronti di artisti che ora non ci sono più e che Scola stesso ha contribuito a rendere maschere immortali della parte migliore della nostra cultura cinematografica. Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Massimo Troisi e tanti altri. Da ieri riuniti al loro mentore di una moltitudine di opere dalla vitalità intellettuale tuttora pulsante. Il fatto è che ogni tanto, voltarsi indietro e ricordare, può essere un utile esercizio per comprendere appieno la nostra posizione attuale. Questo ci lascia, come ricchissima eredità da cui continuamente attingere, oggi e domani, Ettore Scola.
Daniele De Angelis