Solitudini nella massa
L’assegnazione del Leone d’Oro spesso divide e anche quest’anno la 72esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha avuto il suo “discusso” vincitore in Ti guardo. Dal 21 gennaio, distribuito da Cinema di Valerio De Paolis, potrete valutare coi vostri occhi; certamente la tematica è forte, oltre che attuale e per essere un’opera prima è ben riuscita a partire dallo stile rigoroso e asciutto.
Il merito va soprattutto ai due interpreti principali: Alfredo Castro (attore feticcio di Pablo Larraín) e Luis Silva. Il primo è Armando, un uomo molto chiuso, benestante grazie anche alla sua professione di odontotecnico. Il regista venezuelano ce lo presenta di spalle mentre si fa largo tra la folla e, inizialmente, l’unico messo a fuoco è lui. Ti guardo è molto giocato sui fuochi quasi a simboleggiare quell’azione che deve compiere lo spettatore nel mettere a sua volta a fuoco quest’uomo. L’azione che egli compie consiste nell’avvicinare ragazzi, portarli a casa e “usarli” senza avere un rapporto sessuale direttamente con loro (o almeno non sempre; e non vogliamo aggiungere altro). In cambio gli offre dei soldi perché sa che i giovani, tanto più delle zone maggiormente disagiate e povere, ne sono “affamati” ed è proprio questo il tasto su cui punta anche nell’incontro con il diciottenne Elder (Silva), capo di una piccola banda di teppisti.
Sembra un incontro come gli altri, ma qualcosa muterà nella vita di entrambi. Ognuno dei due esprime nel volto dei segni personali di inquietudine, l’uno diventa strumento di conoscenza dell’altro e accettazione sessuale di se stesso nonostante i pregiudizi imperanti.
Ti guardo tematizza, infatti, anche l’omofobia, le conseguenze che possono avvenire di fronte alla propria libertà di espressione dei sentimenti o persino per un sospetto (quindi senza esplicitazione). Per il ragazzo l’adulto rappresenta una sicurezza non solo economica, viene ammaliato dai gesti premurosi e protettivi e noi spettatori, tra le righe, i non detti e le mezze parole, intuiamo la (r)esistenza di traumi infantili.
Negli occhi di Castro, senza che proferisca parola, c’è tutta l’impotenza o l’incapacità di saper amare, si assaporano e si intuiscono alcuni desideri, ma soprattutto per la chiusa finale qualcosa continuerà sempre a sfuggire alla platea di turno e probabilmente allo stesso Elder.
Il titolo originale, Desde Allà, vuol dire in spagnolo “da lontano” ed effettivamente l’uomo spia da lontano, quasi scruta la situazione prima di provare ad avvicinarsi, ma, come scrive Vegas, quest’espressione si riferisce anche «alla distanza tra Armando e i suoi desideri».
Per quanto ci siano delle sporcature e qualche calo di ritmo, in parte sono proprio le imperfezioni che rendono realistico Ti guardo – merito va anche alla fotografia di Sergio Armstrong. Ricordando per certi versi il mood pasoliniano da “ragazzi di vita”, il regista riesce a dare un affresco di quei luoghi intesi come ambiente e come anime umane. Immaginiamo che in quest’ottica non è un caso che sia stato scelto Silva, originario di uno tra i quartieri più duri di Caracas, abile, per questo, nel restituire la verità di quell’ambiente, una crudezza racchiusa già nei lineamenti e nell’espressività.
La sceneggiatura sceglie di non scavare nel passato, ma di offrire solo qualche accenno e questo ci lascia sospesi, con tante domande. Ci piace pensare che proprio per la prospettiva psicologica adottata, si sia voluto concentrare l’attenzione sul presente, quasi a voler astrarre il contesto facendoci vivere “solo” la bolla costruita per sopravvivere.
A conti fatti Ti guardo si rivela un melò che non vuole dare alcun contentino, anzi.
C’è possibilità di riscatto dal degrado? E dall’anaffettività? Alla visione l’ardua sentenza.
Maria Lucia Tangorra