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Effetto Domino

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VOTO: 7

Un Paradiso senza Dio

Non sono trascorse nemmeno 24 ore dalla première nella sezione Sconfini della 76esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica che per Effetto Domino è già arrivato il momento di affacciarsi nelle sale dal 3 settembre con Parthénos.
La strategia in tal senso è in fin troppo chiara, ossia quella di sfruttare l’eco e il ritorno d’immagine che una presentazione nella selezione ufficiale di una vetrina prestigiosa come la kermesse veneziana può dare, al fine di supportare il percorso distributivo futuro del film in questione. Un film, quello firmato da Alessandro Rossetto, che a giudicare da quanto visto sullo schermo ha comunque le carte in regola per tenersi in piedi e fare un percorso più che dignitoso. La stessa forza che, seppur in maniera più convinta e intensa, animava la sua pellicola d’esordio dal titolo Piccola patria, tanto dal lasciare sperare in un’opera seconda di sostanza e qualità. Queste, infatti, non vengono meno e vanno a dare supporto narrativo, drammaturgico e formale alla base letteraria scelta dal cineasta veneto per il suo ritorno dietro la macchina da presa, vale a dire il romanzo omonimo di Romolo Bugaro, del quale Effetto Domino è la libera trasposizione cinematografica.
Siamo in una cittadina termale del nord est italiano che ha visto tempi migliori, un impresario edile e il suo sodale geometra avviano un progetto ambizioso: convertire grandi alberghi abbandonati in residenze di lusso per pensionati facoltosi di ogni parte del mondo. È il sogno mercantile e globalizzato di cambiare faccia alla città, un bel lifting che le dia l’aria bella e calda della Florida, non cliniche dove andare a morire ma paradisi in cui godersi l’ultimo pezzo di vita, spendendosi tutto. È il business della vecchiaia che qualcuno, più potente e visionario di questi piccoli imprenditori, fa suo qui e dall’altra parte del pianeta, giocando ad allungare la vita umana all’infinito. L’improvviso venir meno del sostegno finanziario delle banche all’impresario edile, scatena un effetto domino nel destino di chi sperava solo di arricchirsi, ignaro di quel piano più alto e lontano di chi vede ormai il profitto venire da corpi che non muoiono mai.
La storia di turno consente a Rossetto di restare attaccato alla provincia per raccontarne dall’interno i grigiori, le distorsioni, i mali, le trasformazioni, ma anche le patologie croniche, quelle che il Dio Denaro sta trasformando in un virus che sordidamente e impietosamente penetra nelle arterie che pompano sangue infetto nel cuore di una Società malata. La sfrenata corsa all’edilizia incontrollata che tra bustarelle elargite, concessioni illecite e manovre finanziarie poco cristalline, possono arricchire gli squali e impoverire mietendo vittime tra i pesci più piccoli, sono di fatto la manifestazione evidente di questa malattia. L’effetto domino del quale si parla nel libro prima e nel film poi sta a indicare l’innesco di una reazione a catena dal processo irreversibile, che porta alle drammatiche conseguenze sui malaugurati protagonisti. Quest’ultimi, potenti, ombre o pedine che siano hanno il corrispettivo nei squali e nei pesciolini che nuotano insieme in una vasca dalle acque inquinate e mosse da compromessi, colpi bassi e sacrifici estremi.
Con l’aiuto delle pagine di Bugaro e di un cast variegato e all’altezza (su tutte la perfomance di Diego Ribon), tra alti e bassi legati a qualche digressione nella parte centrale del racconto, Rossetto scrive con immagini e parole (l’uso del voice over a tratti superfluo) i capitoli (sei più un epilogo) di un romanzo criminale a sfondo finanziario ed edilizio costruito su un’asse che dal nord-est italiano porta sino a Hong Kong, laddove i pochi, a migliaia di km di distanza, decidono il destino di tanti. Il risultato è una parabola ammonitrice incisiva e mai moralizzante sulla crisi economica e umana imperante, che lancia il sasso e non nasconde la mano. Un sasso scagliato senza esitazione contro il già citato Dio Denaro, un’entità astratta che ha il potere di fare incontrare la gente, separarla o legarla per sempre, lasciando dietro di sé una sequela di famiglie andate in frantumi, aziende in ginocchio piene di debiti, lavoratori senza stipendio e imprenditori suicida.
Con il classico incrocio pericoloso di vite e di effetti collaterali, Effetto Domino riflette e fa riflettere su tematiche dal peso specifico non indifferente. E lo fa senza calcare la mano o spettacolarizzare il dolore, mostrando l’escalation di un dramma sociale che per alcuni si fa familiare, invadendo in maniera devastante la sfera privata. Il tutto attraverso una narrazione lineare e una regia che si lascia andare solo a quale fronzolo nell’epilogo, innestando in una regia attenta e puntuale (predilezione per focali grandangolari di ottima fattura per restituire sullo schermo l’importanza delle topografie e delle sue mutazioni), delle dilatazioni ritmiche in slow motion e delle messe in scena gradite alla vista ma che hanno il retrogusto sorrentiniano.

Francesco Del Grosso

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