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East End

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VOTO: 8

C’è (o forse c’era) solo un Capitano

Al momento di scegliere un titolo per l’articolo che andrete ora a leggere, quella vena demenziale da sempre presente nel nostro animo spingeva di brutto per un debordante “Totti insieme appassionatamente” o per l’ancor più letale (e almodovariano) “Totti su mia madre”. Qualunque fosse il titolo prescelto, colui che è stato la bandiera della Roma in questi anni doveva assolutamente esserci. Tutto ciò (o Totti ciò) alla faccia del buonsenso e della palese oscenità di certi giochi di parole. Sempre procedendo attraverso la filosoficamente inappuntabile identificazione di Totti col Tutto. Abbiamo infine optato per una declinazione (solo apparentemente) più sobria e discreta di tale pensiero… ma perché il campione giallorosso in questa breve, lapidaria introduzione doveva comparirvi per forza, almeno a nostro avviso?
È presto detto: in East End, irriverente lungometraggio d’animazione presente nelle nostre sale già dal 3 maggio, gli autori Luca Scanferla e Giuseppe Squillaci (in arte Skanf & Puccio) si sono divertiti a fagocitare e ad espellere rovinosamente alcune icone della modernità che vanno da Obama al “Pupone” di Porta Metronia, per l’appunto. Assodata quindi la nostra fede giallorosa, l’aura magica del derby e il beffardo destino riservato a Francesco Totti nel film sono tra gli elementi che, anche a scopo apotropaico, ci hanno colpito e sollazzato di più.

Queste scherzose note introduttive possono rivelarsi anche utili, in realtà, a circoscrivere i campi d’azione di un così esilarante prodotto cinematografico, che è stato già etichettato da più parti come il South Park italiano. I riferimenti iconografici e contenutistici alle provocazioni giunte da oltreoceano sono del resto evidenti. Ma a noi piace comunque vederlo come un cartoonistico orizzonte degli eventi, dove vanno a collassare tanto gli spunti presi dall’animazione americana più spregiudicata e controcorrente, tanto le analoghe derive che una certa scena underground tende a proporre spesso e volentieri anche da noi, specie nella capitale, a livello di fumetti, piccole serie animate e altri prodotti culturali. Constatato l’esistere di tale tendenza, la “romanità” dell’ambientazione ci sembra uno dei fulcri più succulenti e ricchi di stimoli cui fare riferimento. Ed è così che le demenziali, talora grandguignolesche avventure di quei pittoreschi e sfrontati personaggi che abbiamo visto confrontarsi, in East End, tanto con la minaccia del terrorismo islamico (e della non meno virulenta reazione statunitense) che con la figura, per certi versi altrettanto tossica, dello scribacchino di successo Federico Moccia, diventano quasi il contraltare animato di similari impulsi creativi sorti invece in ambito letterario, volendo. Sì, perché quella curiosa contaminazione di linguaggi e di intenti, per cui gli scenari più o meno degradati dell’Urbe diventano oggi terreno fertile per storie spiccatamente di genere, l’avevamo già rilevata altrove.

Gli esempi legati alla pagina scritta che si potrebbero fare sono tanti e diversi tra loro. Una Roma in subbuglio dell’immediato futuro dove il sangue stesso è diventato moneta di scambio (e quindi bene tassabile) è la pressoché inedita cornice, tanto per dire, del romanzo di Francesco Verso vincitore del Premio Urania nel 2016, ovvero BloodBusters. Ma anche la lanciatissima raccolta di racconti curata per Elara da Pier Luigi Manieri, Operazione Europa, contiene in tal senso alcune perle orientate di volta in volta verso il grottesco, verso il distopico, verso il pulp o verso altre tonalità della letteratura gialla o Sci-Fi praticata oggi in Italia. Su tutti ci viene in mente, nella sezione “Hard [ware]  boiled e electro noir”, il racconto di Ferruccio Serraglia intitolato Malaroma, sapido sia per le atmosfere malate di una Roma notturna fotografata a cinquant’anni da oggi che per gli spunti nostalgicamente cyberpunk e il taglio decisamente cinematografico della scrittura.

Ecco, questo rimarcare il taglio cinematografico di un breve racconto ci permette anche di tornare, per un’ultimissima riflessione, alla colorata, divertente e dissacrante animazione qui proposta da Skanf & Puccio: non sono soltanto le battute caustiche e taglienti, quei differenti “tagli” operati alla maniera di uno splatter del primissimo Peter Jackson sui corpi di personaggi paradossalmente sempre sorridenti e paciosi come in South Park, nonché i molteplici e sfacciati riferimenti allo stile di vita della periferia romana ad averci incuriosito e progressivamente conquistato, durante la visione di East End.
Di fondo ci sono anche un’attenzione forte per le valenze ritmiche della narrazione, alcune idee di regia piuttosto efficaci e quel montaggio alternato così secco, preciso, tale quindi da assicurare brio alle balorde imprese di pischelli romani costantemente alle prese con l’inverosimile, tra i pregi di un lungometraggio animato che mescola allegramente i generi, non perdendo mai di vista la natura cinematografica (e quindi cinetica) dell’operazione.

Stefano Coccia

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