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Dream Forest

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VOTO: 7

Le regole del progresso

Sudafrica, anni trenta. La giovane Karoliena Kapp vive con la madre in una zona boschiva del paese dove la povertà impera. Conosce un uomo facoltoso, Johannes Stander, proveniente dalla vicina cittadina. Questi la chiede in sposa, garantendole un futuro economicamente agiato. Tutti, tra parenti e conoscenti, la esortano a non perdere quest’occasione. Tuttavia il cuore di Karoliena rimane saldo nella foresta che l’ha vista crescere.
Queste poche note diegetiche possono facilmente indurre in errore. Dream Forest (in originale Toorbos), diretto dalla giovane cineasta sudafricana Rene van Rooyen e presentato Fuori Concorso al Torino Film Festival 2020, non è il classico romanzetto d’appendice filmato allo scopo di soddisfare i desideri sentimentali di donne di qualsiasi età. Anche perché la storia d’amore (o presunta tale: bisognerà attendere l’epilogo del film per avere le idee più chiare in proposito…) occupa uno spazio relativo nella narrazione di Dream Forest. Alla van Rooyen interessa altro. In primo luogo cercare di comprendere le enormi difficoltà di una giovane donna in cerca di sofferta emancipazione in una società rigidamente maschilista. E in seconda battuta analizzarne il rapporto quasi simbiotico con la natura da lei tanto amata. Quasi inevitabile che il risultato artistico sia un film “femminile” dalla prima all’ultima inquadratura, ricco di sensibilità e suggestioni che solamente una mano muliebre potrebbe riuscire a fornire. Senza arrivare ad i livelli eccelsi di una Jane Campion ma nemmeno arrestandosi troppo lontano da essi.
Dream Forest, pur non brillando per originalità narrativa, sfrutta bene le possibilità che gli scenari naturali gli mettono a disposizione, intessendo un parallelismo per nulla banale tra femminilità e la foresta del titolo. Il discorso verte sulla fertilità di entrambe, con la donna vista – da un punto di vista retrogrado maschile – esclusivamente come medium riproduttivo e la terra circostante buona solo per carpire la ricchezza dei suoi frutti, legname in primis. Rientra alla perfezione in questo ambito, lasciando una discreta traccia nella memoria spettatoriale, il personaggio di una donna anziana convinta di essere ancora una volta in stato interessante. Un ossessione comprensibile per non perdere l’unico ruolo “sociale” su cui avrebbe potuto contare. Karoliena (bravissima e bellissima l’attrice che la interpreta, Elani Dekker) compie invece scelte differenti, scegliendo di ritornare – dopo breve parentesi matrimoniale con Johannes – nell’unico luogo in cui si sente completamente realizzata, cioè proprio quella foresta insidiata, per tutta la durata del film, da un governo non in grado di comprendere la sua importanza sia fisica che etnica.
Tra le righe di Dream Forest si affacciano così anche istanze politiche tutt’altro che di secondo piano. Il cosiddetto progresso di cui parlano spesso le autorità per riempirsi la bocca si rivela nell’altro che un cospicuo passo indietro in termini di rispetto sociale, con gli abitanti della foresta trattati come esseri inferiori da poter allocare a piacimento. E il lungometraggio diretto da Rene van Rooyen, tutt’altro che “conservatore” nello spirito, finisce con lo specchiarsi in una realtà contemporanea che presenta le medesime problematiche di allora. Persone e terre sacrificabili per meri interessi economici. Si pensi solo all’Amazzonia e le sue popolazioni sotto le dissennate politiche dell’attuale presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Una Storia che non insegna per coloro che non hanno alcuna intenzione di apprendere.
Anche per queste motivazioni Dream Forest risulta un’opera cinematografica piacevole da seguire in ogni frammento delle sue due ore di durata. E anche se il commovente finale, molto sfaccettato, riconduce la variegata trama ad una dimensione personale, resta intatto il processo osmotico tra Madre Natura e personaggi centrali e di supporto. Per un film capace di andare ben oltre le sue, non particolarmente entusiasmanti, premesse pseudo-romantiche.

Daniele De Angelis

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