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Laila in Haifa

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VOTO: 7.5

Accadde una notte

Una presenza praticamente costante a Venezia, quella di Amos Gitai. E se sono passati ben cinque anni da quando il cineasta israeliano ha concorso per il tanto ambito Leone d’Oro con l’interessante Rabin, the Last Day, eccolo tornare all’interno della competizione ufficiale di questa 77° edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia con Laila in Haifa, per una storia corale tutta al femminile ambientata, appunto, nella città portuale di Haifa, in cui un locale sul mare sembra essere l’unico luogo d’incontro rimasto, dove è possibile incontrare ogni qualsivoglia forma d’umanità.
Laila (che in israeliano vuol dire “notte”) è la giovane moglie del titolare del suddetto locale, lavora come curatrice di mostre e ha appena finito di allestire un’esposizione fotografica trattante l’eterno conflitto tra arabi e israeliani. Non appena la serata prende il via, il locale si affolla sempre di più e, insieme alla storia di Laila, vediamo le storie di altre quattro donne, ognuna alle prese con i propri problemi personali, ognuna con differenti vicende alle spalle.

Laila in Haifa, dunque, è un film corale, ma anche – e soprattutto – un affresco ideale di come potrebbe essere la realtà se i conflitti finalmente cessassero e se ognuno fosse libero di interagire con chiunque altro, magari trovando una sorta di trait d’union nell’amore per l’arte. Non un film privo di conflitti, sia ben chiaro, ma un coro dal quale emergono numerose voci che – spesso e volentieri – si trasformano quasi in grida d’aiuto.
Le storie dei singoli personaggi, dunque, si fondono e si confondono volutamente l’una con l’altra, all’interno delle eleganti sale dalle luci soffuse, mentre fuori dal locale, di quando in quando, passa qualche treno in transito. Ogni personaggio è a sé, eppure, alla fine dei giochi, sembra avere con tutti gli altri molte più cose in comune di quanto potesse inizialmente sembrare. Ed ecco che, di conseguenza, quel lungo piano sequenza iniziale che tanto sta a ricordarci – proprio per quanto riguarda il tema dei confini che vengono superati – il memorabile incipit de L’infernale Quinlan, acquisisce immediatamente un significato ben definito.
Non lascia nulla al caso, Amos Gitai. Ogni dettaglio, ogni colore sullo sfondo, ogni singolo movimento di macchina è ben studiato e ben calibrato. E risulta, qui, particolarmente elegante nel mantenersi sulla falsa riga del precedente Ana Arabia. In Laila in Haifa, però, tutto si svolge in una notte. E, per la maggior parte del tempo, in uno spazio chiuso. Uno spazio chiuso che, per il clima che si respira sembra, in realtà, assai meno angusto di ogni qualsivoglia strada o piazza dove è il conflitto a scandire – da ormai tempo immemore – ogni singola giornata.
Ti porta da una storia all’altra e scorre fluido nel corso di un’intera nottata, Laila in Haifa. Un’intera nottata in cui si evince appieno lo spirito di non uno, ma ben due popoli, immagine curata ed elegante di grandi passioni, di matrimoni di facciata, di rabbia repressa e di instancabile ricerca d’affetto che vengono fuori solo quando si è finalmente liberi di essere sé stessi. In nome della buona Arte.

Marina Pavido

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