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De la cuisine au parlement – Edizione 2021

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VOTO: 7

Suffragio cantonale

Il cinema documentario sta beneficiando ovviamente di un’attenzione particolare all’interno di #DonneFrauenDunnasFemmesCINEMA, rassegna di film svizzeri dedicata alle donne, che è stata programmata in occasione delle celebrazioni dei 50 anni del suffragio femminile in Svizzera e che ha avuto inizio, significativamente, l’8 marzo. Ad organizzarla hanno contribuito il Consolato di Svizzera a Venezia, parte del Consolato generale di Svizzera a Milano, in collaborazione ovviamente con Cinema Svizzero a Venezia e con la Cineteca di Milano, il cui portale ospita le proiezioni.
Da spettatori partecipi, attenti, possiamo dire che oltre a porre in primo piano istanze femminili troppo a lungo trascurate, tale vetrina ci sta consentendo di scoprire uno spaccato della società svizzera forse poco conosciuto dalle nostre parti. Trasformandosi di tanto in tanto in una appassionante lezione di Storia contemporanea e, perché no, di educazione civica. Esemplare è, in tal senso, il caso di De la cuisine au parlement – Edizione 2021, documentario di Stéphane Göel proposto in streaming nei giorni scorsi.

Format senz’altro un po’ didascalico, diciamolo pure, finanche televisivo nei momenti in cui scritte e diagrammi intervengono a chiarire i passaggi dell’aspro cammino delle donne svizzere verso il suffragio universale, raggiunto in netto ritardo rispetto al resto d’Europa (e volendo del mondo). Un faticosissimo lavoro ai fianchi di quelle componenti arretrate, bigotte (in quanto permeate di un conservatorismo cattolico d’altri tempi), della società elvetica, che (come suggerisce anche il titolo) avrebbe portato infine la donna a evadere dagli angusti spazi domestici, cui era relegata, per trovare strada facendo nuovi margini di espressione nel mondo lavorativo e in altri settori della vita pubblica, compreso quello istituzionale.
Stéphane Göel ha comunque buon gioco nel puntellare le interviste ad attiviste scelte in rappresentanza di differenti generazioni (Elisabeth Kopp, Ruth Dreyfuss, Tamara Funicello, Marina Carobbio e Amélie Christinat, le più presenti sullo schermo) con quel variegato materiale d’archivio, preso tanto da reportage giornalistici che dal mondo pubblicitario. Con esiti talvolta finemente umoristici.

L’altro aspetto che esce fuori, oltre a quell’universo maschile spesso racchiuso nella salvaguardia di un certo assetto tradizionale, poco propenso ad aperture di alcun genere, è senz’altro il così peculiare baricentro istituzionale, spesso in balia dell’attrito tra equilibri federali e autonomia dei singoli Cantoni. “Giocando ai quattro cantoni” (permetteteci la sguaiata e demenziale boutade) con le eroine di questa storia, lo spettatore si appassiona alla costanza, alla determinazione, alla passione e all’orgoglio di coloro che hanno lottato per svariati decenni, prima di riuscire a farsi strada in un sistema socio-politico divenuto ormai anacronistico. E se l’entusiasmo di chi scrive si è un po’ smorzato di fronte all’apparire in scena delle femministe contemporanee e di tematiche come il #MeToo, il cui strombazzamento mediatico spesso non fa rima con altrettanta sostanza, l’ammirazione per quelle “pioniere” che con grande dignità e sacrificio seppero aprire una breccia, si attesta a ben altro livello.

Stefano Coccia

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