Giorno dopo giorno
Un cineasta del calibro di Tsai Ming-liang, si sa, è praticamente sinonimo di garanzia. E tra i film in concorso alla 70° edizione del Festival di Berlino si distingue nettamente tra gli altri concorrenti con Days, la sua ultima fatica. Ancora una volta, dunque, il regista è riuscito a coinvolgere, a emozionare, e a rapire letteralmente lo spettatore con una struggente storia che racconta di due solitudini all’interno di una grande metropoli come Bangkok, le quali riescono a trovare conforto soltanto per poche ore durante la notte.
È questa, dunque, la storia di Kang – il quale vive da solo in un piccolo appartamento e trascorre le sue giornate a cucinare o a osservare la pioggia attraverso le finestre – e di Non – sofferente a causa di strani dolori in tutto il suo corpo. In Days (titolo originale Rizi), dunque, ci è dato da osservare i due protagonisti nell’arco di ventiquattro ore, per una quotidianità che sembra sempre ripetersi all’infinito.
Tsai Ming-liang, dal canto suo, mette in scena le loro storie regalandoci lunghi piani sequenza e lasciando che noi stessi possiamo entrare a far parte del loro mondo. Non c’è bisogno di parole, in Days. Le immagini, potenti, vere e bellissime come capita spesso di vedere nel cinema di Tsai Ming-liang, parlano da sé. E in questo suo ultimo lavoro, possiamo notare come la sua caratteristica cifra stilistica venga ulteriormente portata all’estremo. Non sono passati molti anni dalla realizzazione dell’ottimo Stray Dogs – presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2013 – così come ancor meno è passato dalla presentazione dell’intimo Afternoon (2015), in cui il regista ha avuto modo di intrattenere una lunga conversazione con Lee Kang-Sheng – suo attore feticcio, presente anche in Days. Eppure, in questo ultimo lungometraggio, vediamo uno Tsai Ming-liang possibilmente ancora più estremo, che ha lasciato al potere delle immagini tutto lo spazio possibile. Non è un caso, dunque, che – come una stessa didascalia ha spiegato in apertura del lavoro – per una distribuzione internazionale di Days non è stato effettuato alcun lavoro di sottotitolaggio. Tutto parla da sé. E si fa pregno di profondi significati, in cui è la solitudine dell’essere umano a contrastare fortemente con la vita frenetica di una città come Bangkok.
Tale importante e significativo contrasto viene, dunque, ben realizzato con l’audio in presa diretta. Ed ecco che al silenzio assordante degli appartamenti dei protagonisti si contrappone immediatamente il caos delle strade. E il rumore della pioggia che si sente attraverso i vetri delle finestre chiuse – così come quello dell’acqua che scorre nel momento in cui Kang è intento a lavare gli alimenti – si fa, dunque, perfetto simbolo del tempo che scorre, del ripetersi della quotidianità, per infiniti giorni che ci sembrano tutti uguali l’uno all’altro.
La macchina da presa di Tsai Ming-liang, dal canto suo, come sempre si conferma maestra nell’entrare nell’intimo dei personaggi, portandoci fino a un crescendo finale tanto straziante quanto bello in modo quasi annichilente. Segno che, in questo Days, il regista non solo ha avuto modo di confermare ancora una volta il suo straordinario talento, ma che, facendosi sempre più estremo, ci appare, oggi come oggi, più maturo e completo che mai.
Marina Pavido