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Charlatan

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VOTO: 6

Medicina alternativa

La celebre regista polacca Agnieszka Holland è ormai di casa alla Berlinale. Soltanto nel 2017, infatti, aveva presentato in concorso il graffiante e satirico Spoor, che, tuttavia, non era riuscito a convincere del tutto pubblico e critica del festival. E così, appena tre anni dopo, eccola tornare nella capitale teutonica, al fine di presentare in anteprima in questa 70° edizione del Festival di Berlino – all’interno della sezione Berlinale Special Gala – Charlatan, la sua ultima fatica.

Ripercorrendo, dunque, un importante capitolo di storia della Cecoslovacchia in pieno regime comunista, la regista si è concentrata, nello specifico, sulla controversa figura del dottor Jan Mikolasek, solito curare i suoi pazienti con metodi naturali, osservando semplicemente il colore delle loro urine. Sebbene un tempo protetto dallo stesso regime, il medico verrà ben presto accusato di non essere in grado di effettuare la sua professione, oltre che di aver intrapreso una relazione amorosa con Frantisek, il suo assistente.
Perfettamente in linea con il resto della sua produzione, dunque, Agnieszka Holland ha puntato il dito contro una società bigotta e perbenista, oltre che contro lo stesso regime comunista, mettendo in scena le vicende di un personaggio rivalutato soltanto dopo la sua morte. Un tema, il presente, indubbiamente interessante, date anche le numerose altre tematiche tirate in ballo. Eppure, si sa, non è sempre semplice realizzare un biopic senza scadere in una pericolosa retorica o nel già visto.
E Agnieszka Holland, dal canto suo, non può dirsi, in tal caso, “priva di macchia” se ripensiamo a tutta la sua lunga e prolifica carriera. Stesso discorso, purtroppo, vale anche per il presente Charlatan, dove momenti fortemente prevedibili, insieme a metafore più e più volte abusate (vedi, su tutte, quella di un piccione prigioniero all’interno di un ambiente chiuso che non riesce a trovare una via d’uscita) stanno fortemente a penalizzare un lungometraggio che, osservato esclusivamente dal punto di vista della sua struttura narrativa, vede in numerosi salti temporali – per una narrazione che si sviluppa su tre diversi livelli – il suo maggior punto di forza.
Siamo d’accordo, la regista non è di certo l’ultima arrivata. E sa bene quali sono le corde giuste da toccare, nel momento in cui si vuol fare colpo a tutti i costi sullo spettatore. Eppure tali espedienti, ormai continuamente ricorrenti all’interno della sua cinematografia, forse non funzionano più. In questo suo ultimo Charlatan, ella strizza l’occhio a una messa in scena prettamente hollywoodiana (cosa, questa, a lei assai gradita) e, nel complesso, è riuscita a dar vita a un protagonista caratterizzato a tutto tondo, grazie anche – e soprattutto – alla scelta di mettere in scena contemporaneamente tre diversi periodi particolarmente significanti della sua vita. Eppure, fino alla fine, il lungometraggio non decolla. O, meglio ancora, malgrado l’interessante tema trattato, risulta pressoché piatto, talmente retorico da rivelarsi quasi anonimo. Tutto questo nonostante un talento registico che più volte ha dimostrato il suo valore in passato. Forse sarebbe ora, finalmente, di scardinarsi da vecchi cliché e di osare un po’ di più. Il coraggio, spesso e volentieri, premia.

Marina Pavido

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