La leggenda continua
Il cinema di Raffaele Picchio si mostra cieco, ma in realtà ci vede benissimo. Dopo The Blind King è infatti arrivato Curse of the Blind Dead, sanguinolento omaggio alla tetralogia inaugurata da Amando de Ossorio nel 1972 con Le tombe dei resuscitati ciechi. Eccoli, appena usciti dalla cripta con l’aria intontita. Dal passo inesorabilmente lento ma pronti a far male, sia menando qualche fendente col pesante spadone che poggiando le affilate dita scheletriche sul malcapitato di turno. A piedi o a cavallo di qualche spettrale destriero. Qualunque immagine si voglia ora rievocare, i Templari maledetti riportati in vita negli anni ’70 dal cineasta iberico sono diventati oggetto di culto, una vera e propria pietra miliare dell’immaginario orrorifico. Non era pertanto facile, per lo sfrontato regista di Morituris, far rivivere la leggenda senza cadere in qualche tranello, falsandone la prospettiva originale o riproponendo al contrario qualche calco eccessivamente deferente e calligrafico. Che fare, allora? Si poteva ad esempio spostare l’azione a Praga ed aumentare la presenza equina sul set, ma a quel punto sarebbe stata “La cavalcata dei resuscitati Cechi”.
L’autore, più opportunamente, ha optato per le selve bergamasche e per una rivisitazione del Mito che cita atmosfere gotiche all’inizio, con gusto quasi “frediano”, per azzardare poi un ferino crossover che mescola la matrice originaria coi più crudi scenari post-apocalittici. La sfacciataggine ci piace, per cui scommessa vinta.
Duplice ciliegina sulla torta, Curse of the Blind Dead ha affiancato nella serata conclusiva del 40° Fantafestival un’altra chicca cinefila non da poco, Corman’s Eyedrops Got Me Too Crazy di Ivan Cardoso. Ecco, la virtuale vicinanza di un nume tutelare come Roger Corman non ci è dispiaciuta neanche un Poe, al momento di congedarci dallo psichedelico e vorticoso montaggio del carioca Ivan Cardoso, per addentrarci nuovamente nelle cripte dei tenebrosi Templari. Cripte anch’esse rivisitate e post-datate, considerando che nel repentino passaggio dall’oscurantismo medioevale alla barbarie riesplosa dopo le guerre nucleari, la stessa architettura dell’infida magione appare ibrida, trasformata.
Confezione visivamente curata, quindi, per questo lungometraggio che vede non a caso la partecipazione di Marco Ristori e Luca Boni quali produttore esecutivi. Ed alcune scene simpaticamente, robustamente splatter, sia durante il prologo col conseguente rogo “purificatore” che al successivo scatenarsi del furore Templare, non mancheranno certo di deliziare gli appassionati. Ma oltre le gambe mozzate c’è di più: frattaglie a parte, un po’ di sostanza su cui ragionare ci sarebbe pure, eccome. In tal senso le atmosfere post-apocalittiche alla The Road di John Hillcoat, con il sopravvissuto Michael (Nick Stielstra) e sua figlia Lily (Alice Zanin) protagonisti di situazioni estreme, che li pongono a contatto col peggior degrado umano, risultano propedeutiche al successivo crescendo di orrori. E così, al pari degli spietati gladiatori zombi di Morituris, i feroci Templari presi in prestito dalla filmografia di Amando de Ossorio non fanno altro che replicare, amplificandola all’ennesima potenza, quella crudeltà già presente nella tempra e nelle azioni di molti, tra i nostri “simili”. Fino al beffardo e demoniaco epilogo.
Stefano Coccia