Un Cantet filippino
Addentrarsi sul duraturo terreno del Bildungsroman è molto pericoloso, perché già ampiamente completo di opere che hanno trattato tale argomento, e per di più affrontato dai differenti autori, romanzieri o registi, in diverse maniere, spesso anche con risultati eccellenti. Senza dimenticare che c’è anche il facile rischio di affrontare la tematica in modo del tutto superficiale, candendo negli usuali luoghi comuni sulle problematiche adolescenziali. La pellicola filippina Cleaners (2019) di Glenn Barit, presentata fuori concorso alla 38º edizione del Torino Film Festival, certamente va a ingrossare il già satollo elenco di pellicole che affrontano il romanzo – cinematografico – di formazione, però almeno ha dalla sua una maniera di testimonianza visiva molto innovativa e accattivante, con reminiscenze cinefile, oltre a saper affrontare il tema che sta alla base, ovvero la concezione di pulizia – nelle varie accezioni – delle persone, in modo spigliato, non lesinando momenti allegramente grotteschi.
Scritto dallo stesso Barit, questa commedia tendente a una fotografia documentaristica, prende per campione alcuni ragazzi, maschi e femmine, di un istituto universitario di stampo cattolico. Cleaners è ambientato durante il corso 2008-2009 (come si desume dalla scritte dei calendari), ed è strutturato in 6 episodi, di cui due sono la corta introduzione e il breve finale, e gli altri quattro raccontano separatamente le vicende dei ragazzi. Il tema che accomuna le vicende dei ragazzi è il concetto di pulizia, promulgato dall’istituto. Rappresentazione della pulizia sia in riferimento alla cura del proprio corpo, e sia per la purità del proprio spirito. La durezza di questa disciplina scolastica è ben rappresentata nell’introduzione, in cui i ragazzi devono riassettare metodicamente bene la loro aula. Nel primo episodio la ragazza, quasi affetta da rupofobia (si disinfetta le mani continuamente), scoprirà che lo sporco non è così dannoso, e anzi in alcuni può essere fonte di vita. Nel secondo la pulizia è in riferimento all’immagine e alle parole, e per questo i tre ragazzi vengono redarguiti dai professori perché si vestono in modo poco consono e ascoltano musica diseducativa. Alla fine la loro performance canora “blasfema” mostrerà che, sebbene le parole possono essere forti, se dette nel modo giusto possono funzionare. Il terzo episodio è incentrato su due ragazzi innamorati, che devono lottare contro i pregiudizi sessuali. Infine il quarto riguarda il lindore della propria anima, essendo un racconto che parla di un ragazzo che fa per la prima volta i conti con la corruzione che vige nella società. Quattro piccole storie di quattro comuni adolescenti, che alla fine si ribelleranno, raccontate però con sincerità. Quello che sorprende maggiormente è lo stile visivo adottato dall’esordiente nel lungometraggio Glenn Barit, che utilizza un approccio tanto vintage quanto “cool” e “fumettistico”, con quel bianco e nero a volte angoscioso che sembra derivare dai primi cortometraggi sperimentali di David Lynch, e con la scena della circoncisione degna del regista di Missoula. E si potrebbe anche dire che Cleaners è una simpatica variante filippina di Laurent Cantet e le sue indagini scolastiche.
Roberto Baldassarre