La parola alle immagini
L’amore per l’Arte. Questo è ciò che da sempre spinge il celebre cineasta giapponese Kiyoshi Kurosawa a realizzare i propri film. E se non ci fosse stata, alla base, una passione così grande, probabilmente il suo nome si sarebbe confuso tra i tanti, tantissimi nomi della cinematografia giapponese contemporanea. Tale amore, dunque, non manca, di quando in quando, di essere anche giustamente celebrato. Se, infatti, nel 2016 era la fotografia a svolgere un ruolo centrale in Daguerrotype, nell’affascinante Wife of a Spy – presentato in concorso alla 77° edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia – particolare attenzione viene dedicata proprio al cinema.
Un lavoro, il presente, che rappresenta quasi una svolta all’interno della ricca e variegata filmografia del regista. Se, infatti, di base viene comunque cavalcato il filone della spy-story (come già è stato per altri suoi precedenti lavori), ecco che per la prima volta il lungometraggio viene ambientato nel passato e – nello specifico – durante la Seconda Guerra Mondiale. La storia messa in scena, dunque, è quella di Satoko, giovane e innamoratissima moglie di un commerciante che rischia di essere incriminato per la morte di una donna conosciuta durante un viaggio in Manciuria. Durante questo suo viaggio, tuttavia, l’uomo ha scoperto realtà ben più inquietanti e il suo obiettivo principale è quello di denunciarle agli Stati Uniti. Riuscirà Satoko a non farsi sopraffare dalla gelosia e a restare a fianco di suo marito durante questa complicata missione?
Al centro dell’intreccio v’è un film. Anzi, due film. Un film girato dalla giovane Satoko quasi per gioco e un altro filmato che mostra le atrocità compiute in Giappone su alcuni cadaveri. Il cinema, dunque, si fa immediatamente attore principale in una storia ricca di risvolti inaspettati e improvvisi ribaltamenti, in piena tradizione del cinema di Kiyoshi Kurosawa. E questo suo ruolo centrale lo intuiamo fin da subito, fin da quando vediamo la giovane Satoko sul set, ma anche fino al momento in cui la stessa – insieme a suo marito e alla servitù – si diverte, in salotto, ad assistere alla proiezione del lavoro finito e si stupisce nel vedere il suo bel volto in primissimo piano, mentre viene smascherato dal suo amante sullo schermo.
Riferimenti al cinema del muto e, nello specifico, alla filmografia di Kenji Mizoguchi, dunque, non sfuggiranno a uno sguardo attento, perfettamente incastonati come sono all’interno di un prodotto pressoché perfetto, dall’estetica curata fin nei minimi dettagli e che si distingue, tra l’altro, anche per la sua straordinaria eleganza.
Le location, gli interni, i colori, i costumi dei protagonisti che ora strizzano l’occhio alla moda statunitense degli anni Quaranta, ora, vivaci e variopinti, ci regalano una piccola porzione della ricca tradizione giapponese, si fanno immediatamente inconfondibili marchi di fabbrica del presente Wife of a Spy. Un film che tiene incollati sullo schermo grazie alla sua ottima struttura narrativa che ci regala una storia ricca di suspense e inaspettati risvolti, ma anche un lungometraggio che mette in scena, soprattutto, una grande, grandissima passione e un amore – che si fa immediatamente abnegazione – di una donna nei confronti di suo marito. E questo lato umano del cinema di Kiyoshi Kurosawa – trattato in modo mai scontato o banale – ci piace davvero parecchio.
Marina Pavido