Lei che tutto vede e che tutto sa
Chi come noi aveva avuto modo di vedere quattro anni fa il cortometraggio Calladita avrà subito pensato a quanto non detto e non mostrato la visione di quel lavoro scritto e diretto da Miguel Faus aveva sottoposto lo spettatore. Oggi che quello short è diventato un film con il medesimo titolo e dopo avere assistito alla sua proiezione nel corso della 15esima edizione del Bif&st, laddove è stato presentato nel concorso della sezione Panorama Internazionale dopo l’anteprima mondiale al Tallinn Black Nights Film Festival, quella sensazione ci ha messo un battito di frame a trasformarsi in una certezza. La sensazione era quella di un plot le cui dinamiche narrative e drammaturgiche, almeno quanto il disegno non tanto dei personaggi secondari quanto della protagonista, potevano essere ampliate, esplorate e approfondite viste le potenzialità e i possibili margini di sviluppo.
Di questo fortunatamente se ne sono accorti i migliaia di finanziatori privati (tra cui Steven Soderbergh) che hanno preso parte alla campagna di crowdfunding (per la prima volta effettuata tramite donazioni in criptovalute) che ha consentito alla stessa produzione che precedentemente aveva dovuto fare a meno di contributi pubblici di chiudere il budget necessario per la messa in opera del progetto. La cosa in sé non è stata necessariamente un limite, perché ha permesso al giovanissimo e talentuoso regista blaugrana di lavorare in piena autonomia e indipendenza, senza paletti e costrizioni di nessun tipo. Il risultato è infatti un film libero in tutto e per tutto, tanto nella forma quanto e soprattuto nei contenuti.
Calladita (The Quiet Maid) amplia quella che era stata la trama e il baricentro drammaturgico del corto omonimo del 2020, all’epoca focalizzati sulla catena di causa ed effetto innescata e deflagrata durante un party a base di alcool e droghe in una lussuosa villa in Costa Brava. A servizio in quella proprietà da sogno per una ricca famiglia di commercianti d’arte c’era sempre l’instancabile e discreta cameriera colombiana Ana, che ritroviamo protagonista anche del lungometraggio in questione. Illusa dalla falsa promessa di migliori condizioni di lavoro dopo l’estate, la donna mantiene ubbidienza e discrezione. Ma un incontro casuale con Gisela, una domestica della vicina, le spalanca un universo di piaceri estivi. Quando la famiglia decide di licenziarla, Ana userà astuzia e ingegno per risolvere la situazione. La scrittura sulla lunga distanza e il maggiore spazio a disposizione permettono al racconto di sviluppare le situazioni e gli intrecci che porteranno al punto di ebollizione, vale a dire a quella svolta che aprirà il vaso di Pandora e farà cambiare pelle e tono alla vicenda, iniettando nell’ultima parte della timeline delle dinamiche da revenge movie. La risoluzione purtroppo non è così esplosiva come ci si aspetterebbe, ma non al punto da rovinare quanto di interessante portato sullo schermo da un cineasta che a dispetto della giovane età dimostra maturità e solide capacità registiche.
Sicuramente l’esito avrebbe beneficiato di una scrittura ancora più ficcante e affilata, ma il film, preferendo alla sciabola il fioretto, a conti fatti ha comunque saputo sferrare dei fendenti a quella borghesia che ha preso di mira. Certo non arriviamo alla potenza di fuoco del cinema di Luis Buñuel e di pellicole come L’angelo sterminatore o Il diario di una cameriera, tantomeno a quello del Ruben Östlund di The Square e Triangle of Sadness, ma l’attacco è comunque ben assestato e non sferrato con armi a salve. Tra quelle in dotazione a Faus c’è la performance di Paula Grimaldo, che riesce a trasformarsi in modo credibile da una presenza umile e di basso profilo in una guerriera capace di combattere la sua piccola battaglia personale.
Francesco Del Grosso