La pecorella smarrita
Alla 13esima edizione della Festa del Cinema di Roma il pubblico ha potuto vedere due film che si confrontano, ciascuno a proprio modo e seguendo traiettorie drammaturgiche in parte simili, con il delicato tema dell’omosessualità. Si tratta di pellicole di fatto speculari che affrontano attraverso il modus operandi del romanzo di formazione l’argomento in questione da prospettive diverse, quella femminile in La diseducazione di Cameron Post di Desiree Akhavan e quella maschile in Boy Erased – Vite cancellate di Joel Edgerton. Entrambe partono dalle pagine di altrettanti omonimi romanzi di successo firmati da Emily M. Danforth da una parte e Garrard Conley dall’altra. La sostanziale differenza sta nel fatto che nel secondo caso la materia narrativa e i personaggi che la animano non nascono dall’immaginazione dell’autore di turno, bensì dall’esperienza personale e vera di colui che l’ha vissuta sulla propria pelle, del quale il libro e la sua trasposizione cinematografica sono un’autobiografia. Di conseguenza, quello che è stato impresso sulle pagine e successivamente sullo schermo è un biopic a tutti gli effetti che attinge da alcuni capitoli chiave della vita di Conley che qui diventa Jared Eamons, figlio di un pastore battista di una piccola città americana, che a diciannove anni rivela ai genitori di essere omosessuale. Il ragazzo a quel punto si ritrova a un bivio: sottoporsi a una terapia di rieducazione sessuale o venire esiliato ed emarginato dalla sua famiglia, dai suoi amici e dover rinunciare alla sua fede. Costretto a mettere in discussione ogni aspetto della propria identità, Jared accetta, tra mille dubbi, di cominciare la terapia.
Edgerton, qui alle prese con la seconda prova dietro la macchina da presa dopo il positivo esordio nel 2015 con il thriller The Gift, si fa carico della responsabilità di portare sullo schermo un coming of age dalle dinamiche narrative assai complesse che scorrono lungo binari sui quali il rischio di deragliare è piuttosto elevato. La materia sensibile chiamata in causa, che riguarda la ricerca e la presa di coscienza di un’identità messa in discussione da un mondo che non vuole accettarla, ha visto molti cineasti delle varie latitudini perderne il controllo. Fortunatamente tra questi non figura il regista australiano che prende in consegna il tema, la storia e i personaggi, trattandoli con i guanti e con grande rispetto.
Il risultato, che potrete vedere nelle sale nostrane nel febbraio del 2019 con Universal Pictures, trova la giusta misura per non cadere negli stereotipi e nei moralismi a buon mercato, pur mantenendosi su una linea di argomentazione convenzionale. Da questo punto di vista, Boy Erased non si sporca eccessivamente le mani, o meglio lo fa quel minimo indispensabile per comunicare al pubblico l’esistenza della terapia “riparativa” e le ripercussioni psicologiche ed emotive sui soggetti ad essa sottoposti. Di fatto, la pellicola sottintende una denuncia nei confronti di una pratica ignobile ancora oggi ampiamente diffusa oltreoceano. Ne mostra le rigide regole, gli spazi inviolabili e i modus operandi, dando allo spettatore una visione soggettiva che deriva dall’esperienza in prima persona del protagonista della storia dalla quale il film ha tratto ispirazione. Su questo versante, Boy Erased è senza dubbio molto più efficace di La diseducazione di Cameron Post nello svelare i meccanismi contorti e assurdi che vi sono alla base. Per farlo, l’autore lavora in sottrazione e non calca mai la mano, affidandosi in gran parte all’impianto dialogico e alle interpretazioni dell’intero cast, dove Lucas Hedges, Nicole Kidman, Russell Crowe e lo stesso Edgerton, rappresentano un valore aggiunto e una scialuppa di salvataggio alla quale aggrapparsi ogniqualvolta la timeline fa qualche giro a vuoto a causa di futili digressioni. In tal senso, l’attore che dirige altri attori è più che mai una sicurezza e non a caso la performance corale è la componente artistica che spicca maggiormente. La Kidman, in particolare, finisce con il rubare la scena ai colleghi, compreso al giovane Hedges che veste i panni di Jared, quando nella seconda parte al suo personaggio (Nancy Eamons, madre di Jared) viene data l’opportunità di salire in cattedra in due scene straordinariamente intense come quella della fuga dall’istituto e del ristorante.
Ciò che resta è un film che non calamita a sé lo sguardo del fruitore se non in quei momenti di forte drammaticità (il funerale/esorcismo di Cameron, la disperata corsa notturna di Jared e il faccia a faccia tra il protagonista e suo padre nell’ufficio della concessionaria), dove il termometro registra una salita della temperatura emotiva. Il tutto accompagnato da una bellissima e avvolgente colonna sonora nella quale spiccano le note magnetiche dell’inedito “Revelation”, frutto dalla collaborazione tra Jónsi Birgisson dei Sigur Rós e il cantautore australiano Troye Sivan.
Francesco Del Grosso