Sotto la punta dell’iceberg
La prima volta che abbiamo incontrato Desiree Akhavan è stato non troppo tempo fa. Di conseguenza non dobbiamo riavvolgere troppo le lancette dell’orologio. Sufficiente, infatti, tornare al luglio del 2015, quando il suo esordio Appropriate Behaviour faceva la sua fortunata apparizione nella line up della 29esima edizione del Festival MIX di Milano. All’epoca era impegnata nella doppia veste di regista e interprete di una pellicola che colpì tanto noi quanto gran parte del pubblico della kermesse meneghina per la freschezza della scrittura, lo humour nero con pizzichi di politicamente scorretto che si riversavano sull’impianto dialogico e sulle singole scene che andavano a comporre la timeline, ma anche per il modo non allineato e personale con il quale la regista e interprete aveva portato sul grande schermo le peripezie sentimentali e amorose di una bella e intelligente insegnante di cinema bisessuale iraniana scaricata dalla compagna fedifraga.
La curiosità nei confronti della sua opera seconda dal titolo La diseducazione di Cameron Post, già vincitrice del Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival 2018 e nelle sale nostrane a partire dal 31 ottobre con Teodora Film dopo la presentazione alla 13esima Festa del Cinema di Roma, non poteva che essere tanta. Qui la vedremo impegnata solamente nelle vesti di regista e co-sceneggiatrice al fianco di Cecilia Frugiuele nell’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Emily M. Danforth, nel quale cede il testimone della protagonista alla giovane collega Chloë Grace Moretz, qui alle prese con una vicenda ambientata in una cittadina del Montana, nel 1993. Quando viene sorpresa a baciarsi con una ragazza durante il ballo della scuola, la giovane Cameron Post viene spedita in un centro religioso, God’s Promise, in cui una terapia di conversione dovrebbe “guarirla” dall’omosessualità. Insofferente alla disciplina e ai dubbi metodi del centro, Cameron stringe amicizia con altri ragazzi, finendo per creare una piccola e variopinta comunità capace di riaffermare con orgoglio la propria identità.
Il territorio di esplorazione drammaturgica e tematica per la Akhavan resta dunque quello dell’affermazione della propria identità sessuale e del percorso di rivendicazione. Stavolta, però, passa attraverso le traiettorie classiche del romanzo di formazione in chiave lgbt di una adolescente che insegue la sua vera natura, i suoi sentimenti e la libertà di essere. Il tutto viene messo in discussione quando il mondo che la circonda, compresi quei pochi affetti che le sono rimasti, bollano ciò che vive e in cui crede come una malattia, una perversione o una confusione momentanea dalla quale si può “guarire”. Così Cameron si ritroverà in un luogo dove la preghiera e l’analisi individuale e di gruppo “possono” riportare il soggetto in questione (qui chiamato discepolo) sulla retta via. La diseducazione di Cameron Post mostra il percorso di resistenza di una ragazza e la sua battaglia quotidiana per restare se stessa nonostante tutto e tutti.
Classico nella forma e nelle dinamiche narrative, la pellicola della cineasta di origini iraniane offre al pubblico emozioni distillate, che arrivano a destinazione quando è la componente drammatica a prendersi i giusti spazi, come nel caso della telefonata di Cameron alla sorella o la crisi di Mark nel corso della sessione di terapia di gruppo con la direttrice. Il film, infatti, mostra i suoi punti forza nella recitazione dell’intero cast e quando i toni si fanno seri, con qualche eccezione di rado quando la Akhavan prova a stemperare il dramma umano della protagonista e dei suoi compagni di “prigionia” con quale battuta al vetriolo o situazione divertente (vedi il karaoke con i testi sacri o la ginnastica di gruppo).
Ciò che manca a La diseducazione di Cameron Post è dunque la compattezza, un maggiore controllo dei flussi emotivi, ma soprattutto l’alchimia tra leggerezza e profondità, quella che aveva permesso al film precedente di colpire il bersaglio.
Francesco Del Grosso