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Blind Spot

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VOTO: 7

L’uomo (in)visibile

I supereroi più o meno tormentati con le loro odissee più o meno spettacolari sono ormai entrati a tutti gli effetti nell’immaginario del cinema fantastico e fantascientifico, protagonisti tanto di cine-comics quanto di un vero e proprio filone che gli addetti ai lavori, data la mole di titoli inscrivibili, hanno battezzato superhero movie. Li abbiamo visti e conosciuti davvero in tutte le salse e vesti, chiamati a fare i conti con nemici di ogni sorta o con tormenti ed estasi personali. Quest’ultimo è il caso del Dominick di Blind Spot, un uomo che ha il potere di diventare invisibile, ma lo usa di rado, giusto per dare un’occhiata alle attività dei vicini. È un segreto di cui non sa nemmeno la sua fidanzata. Per il mondo è una persona come tante: lavora, vive in un appartamento e del suo potere non sa cosa farsene. Finché non comincia a perderne il controllo.
Le conseguenze di questo graduale deragliamento è al centro del plot della pellicola co-diretta da Patrick Mario Bernard e Pierre Trividic che, dopo l’anteprima nella sezione ACID della 72ª edizione del Festival di Cannes, è approdato nel concorso del 19° Trieste Science+Fiction Festival. Il film del duo francese parte dal tema classico del filone, ossia la diatriba tra dono e condanna per che possiede un super-potere come quello di Dominick, per poi allargare lo spettro alla vulnerabilità e alla fragilità della sua natura umana. Il risultato è un ritratto che trova nel dramma personale del protagonista, centrato da un mascherino a 1:1, rilanci continui in termini narrativi e drammaturgici. Il che stratifica e incrementa lo spessore di una one line che nel pedinare nel quotidiano disegna le traiettorie di una tragedia personale che coinvolge la sfera intima e relazionale del protagonista.
Ne viene fuori un tentativo insolito e riuscito di mostrare l’altra faccia della medaglia, quella di un uomo che vorrebbe essere visibile agli occhi di chi non può vedere e invisibile a quel resto del globo per il quale non riesce ad essere trasparente. Sotto la superficie del genere c’è dunque una più profonda lettura astratta e metaforica della natura umana e delle sue mutazioni, che rappresenta il cuore pulsante della scrittura di Blind Spot. Ma per coglierla bisogna sapere e volere scavare al di sotto dell’evidente. Una volta fatto questo si potrà entrare in contatto con la vera essenza del film e delle motivazioni che hanno guidato prima la scrittura e poi la sua trasposizione. Ciò consentirà al fruitore di apprezzare tanto le piccole quanto le macro dinamiche che scandiscono il progredire della timeline, che tocca il suo apice negli ultimi e più consistenti trenta minuti che vedono Dominick fare definitivamente i conti con se stesso e con tutte le cose rimaste per anni in sospeso, compreso il rapporto con la madre. Nota di merito per l’interprete principale, ossia Jean-Christophe Folly, efficacissimo nel restituire sullo schermo le tante sfumature di un personaggio scivoloso e non sempre facile da gestire.

Francesco Del Grosso

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