Scarlett Johansson passa il testimone ad una nuova Vedova Nera
Torna finalmente al cinema l’universo Marvel, dopo due anni di stop dovuti alla pandemia da Coronavirus. Si tratta della saga cinematografica probabilmente più popolare della storia, una sorta di lungo cineromanzo a puntate, perfino suddiviso in “stagioni”, che vengono chiamate “fasi” (siamo al prologo della quarta). Sì è vero, questo colossale affresco narrativo, ovviamente tratto dai fumetti supereroistici che appassionano dagli anni ‘60, è arrivato anche ad arricchirsi di serie tv, in onda sulla piattaforma streaming Disney (che da qualche anno ha acquistato la Marvel), ma è il grande schermo della sala il luogo ideale per godere di avventure roboanti, effetti speciali e personaggi ormai entrati nell’immaginario collettivo, non solo degli appassionati dei comics americani.
In uscita il 7 luglio nelle sale, Black Widow è anche il film in cui Scarlett Johansson veste per l’ultima volta i panni di che è il suo personaggio più celebre: Natasha Romanoff, la Vedova Nera appunto. Ex-agente segreto sovietico, dopo la diserzione entra a far parte degli Avengers, cioè il supergruppo per eccellenza, in compagnia di Thor, Hulk, Occhio di Falco, Iron Man e Capitan America. Tornata ad operare in solitario, dopo alterne vicende si riunisce agli eroi di tutto il mondo, ma sappiamo che non avrà un destino felice nella titanica battaglia contro Thanos, uno dei più potenti esseri dell’universo. Esaurito allora il suo arco narrativo, non poteva che essere un “prequel” la pellicola a lei finalmente dedicata, narrando eventi che si collocano appena dopo Civil War (2016) e prima di Infinity War (2018). Se sembra complesso è perché lo è, in effetti, soprattutto per lo spettatore che non ha mai seguito questa serie di epici racconti. Ma tant’è, in un’appassionante sequenza introduttiva troviamo la giovanissima Natasha, siamo nel 1995, in fuga dagli Stati Uniti, trascinata via dalla sua famiglia interamente costituita da spie russe e la cui copertura è appena saltata. Alexei (David Harbour), un supersoldato di Mosca, e Melina (Rachel Weisz), fingono infatti di essere una coppia le cui false figlie, Natasha e Yelena (che neanche sono realmente sorelle), servono a corroborare l’aspetto di serena famiglia americana. Riuscendo a raggiungere Cuba, non senza difficoltà, i quattro vengono separati: la missione in veste di infiltrati, d’altra parte, è ufficialmente terminata. Per le due ragazze inizia un crudele addestramento, inserite nel programma “Vedove” dal sinistro Dreykov (Ray Winstone). Dalla sua “stanza rossa”, misteriosa base segreta, egli punta a rastrellare giovanissime ragazze in tutto il mondo per farne letali assassine, operando una selezione durissima che contempla anche il condizionamento mentale. Natasha è certa di aver ucciso Dreykov molti anni prima, come atto finale a suggellare la sua diserzione, ma drammatici eventi fanno chiaramente intuire che l’astuto criminale è sopravvissuto.
La Vedova Nera torna quindi in azione, cercando di riunire la sua vecchia “famiglia” per riuscire nell’intento, recuperando Alexei in una sperduta prigione russa, Melina, ancora impegnata in esperimenti sulla mente, e soprattutto sua “sorella” Yelena (Florence Pugh), ormai diventata anch’essa una pericolosa Vedova in fuga. Nel frattempo la “stanza rossa” si è evoluta in un’organizzazione incredibilmente potente e ramificata. Si alza dunque il sipario su uno scontro ad alto tasso adrenalinico in cui va consumata un’agognata vendetta.
Girato dall’australiana Cate Shortland, che nonostante la sua abilità non ha una lunga carriera alle spalle, questo film è una sequela di battaglie ed inseguimenti realizzati con notevole perizia tecnica (uno su tutti la folle corsa per le strade di Budapest) che, per certi versi, rende quasi obbligatoria la visione sul grande schermo. La sceneggiatura di Eric Pearson rischia però di perdersi in questa sequela di sparatorie, duelli all’arma bianca, esplosioni e distruzioni su vasta scala. Certo, ci sono i momenti in cui la giusta dose di umorismo va a mescolarsi con momenti più intensi. Ci sono amare riflessioni sul destino di un nucleo familiare che, sebbene fasullo, aveva imparato a sentirsi davvero un tutt’uno e la cui separazione, tutto sommato, è ancora un trauma che nessuno pare aver realmente superato. Di quegli “anni felici” sembrano avere tutti nostalgia, anche se le tragedie che si sono succedute li obbligano a fare i conti con un presente triste e ineludibile. E’ un lungo passaggio del testimone, da Natasha a Yelena (ma Florence Pugh è poco convincente e francamente priva del grande carisma della Johansson). Ogni volta che si tenta un approfondimento maggiore dei personaggi, per il quale c’è ampio spazio vista l’interessante vicenda, si ha l’impressione che si voglia passare in fretta alle sequenze d’azione successive. A proposito di queste, nonostante siano una meglio dell’altra, è bene munirsi di una “sospensione dell’incredulità” più massiccia del solito. Probabilmente per apprezzare i nuovi arrivati è necessario attendere (attenzione infatti alla solita scena nascosta dopo i titoli di coda), nonostante il grande spettacolo offerto. Forse è perché vedere la Vedova Nera in grande forma non può non farci pensare al suo destino già segnato, forse è perché abbiamo ancora bisogno di tempo per appassionarci alle gesta di quella nuova.
Massimo Brigandì