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Avengers: Infinity War

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VOTO: 7

La guerra è guerra

Mai giudicare un film partorito dalla Marvel prima della sua conclusione. Una regola da rispettare per ogni lungometraggio visonato ma che, in quest’occasione, trova una propria, autentica ragion d’essere. Avengers: Infinity War appare infatti per buona parte della sua mastodontica durata (oltre due ore e mezza) più una spettacolare escursione a Disneyland che un’opera cinematografica compiuta. Una molteplicità di attrazioni – in pratica tutti i supereroi della galassia marvelliana rispondono presente all’appello – capace di generare meraviglia in chi guarda ma anche un certa sensazione di frastornamento. Quest’ultima dovuta soprattutto ad uno script – opera dei fedelissimi della casa Christopher Markus e Stephen McFeely – che sembra sin troppo preoccupato a ritagliare il dovuto spazio ad ogni icona di un pubblico adolescenziale, con i fratelli Anthony e Joe Russo, in genere intelligenti innovatori, retrocessi stavolta al coordinamento del traffico. C’è sempre l’ironia, a far da generoso collante del tutto; e tuttavia stavolta si avverte la mancanza della penna di un Joss Whedon – regista e sceneggiatore di The Avengers e Avengers: Age of Ultron, primi due titoli “ufficiali” dei vendicatori – in grado di creare quelle dinamiche di rapporto tra supereroi generanti la più genuina empatia in platea.
Allora si era pronti, nel caso di Avengers: Infinity War, a gridare al passo indietro qualitativo, con una narrazione a viaggiare su scontati binari da default e un cattivo di turno, tale Thanos, appositamente disegnato per dar filo da torcere ai nostri idoli nonché a far fare loro la consueta bella figura. Invece no. Perché quasi d’improvviso il racconto di Avengers: Infinity War prende una piega imprevista. Personaggi illustri (evitiamo gli spoiler) cominciano a lasciarci le penne e l’invincibile Thanos (ben interpretato, dietro la computer graphic, da Josh Brolin) da ordinario villain desideroso di conquistare le sei gemme (!) che lo renderanno padrone dell’Universo, comincia inopinatamente ad acquisire uno spessore quasi shakespeariano. Ma soprattutto è l’intensità della battaglia a salire di livello, rendendo alla perfezione l’idea che, come del resto suggerisce il titolo stesso del film, non vi sia una via d’uscita causa equivalenza delle forze in campo. In tal modo, tra un Hulk che non vuole più saperne di uscire da Bruce Banner (Mark Ruffalo), un Thor (Chris Hemsworth) orbo d’un occhio eppure redivivo dopo le ultime peripezie del regno di Asgard e un Captain America (Chris Evans) disilluso da eventi recenti e per questo senza scudo, si fa strada un finale capace di lasciare il segno, con una desolazione morale ad accomunare vincitori e vinti come accade nella realtà di conflitti il più delle volte insensati. Omettendo poi di citare un apocalittico epilogo capace, oseremmo esclamare finalmente, di lasciare ammutolita una platea cui andranno di traverso i pop corn. Insomma i fratelli Russo, alla fine, il loro messaggio “politico” nell’ambito del cinema blockbuster lo hanno consegnato anche in questa circostanza.
La saga della “guerra infinita” è dunque destinata a continuare, come testimonia la non conclusione della trama. E la scintilla della curiosità è ormai perfettamente scattata in qualsiasi spettatore, fedele appassionato o meno. Il quale, per intanto, farebbe bene a rimanere seduto sin oltre la fine dei titoli di coda: perché stavolta il consueto post scriptum, marchio di fabbrica della casa, riveste una certa qual importanza…

Daniele De Angelis

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