Scontro primordiale dalla parte della natura
Rimasto da poco vedovo, il dottor Nate Samuels (Idris Elba) cerca di recuperare il legame in pezzi con le proprie figlie conducendole in un viaggio in Sudafrica, terra natìa di colei che però era ormai la sua ex moglie. Meredith (Iyana Halley), aspirante artista fotografa, è quella che cova il maggior risentimento nei confronti del padre, colpevole a suo dire di aver abbandonato casa e di aver ignorato la malattia che ha infine ucciso la madre. La più piccola Norah (Leah Sava Jeffries) si scopre particolarmente fragile, stretta fra il lutto e il conflitto fra i suoi cari. Nella speranza di Nate, in realtà schiacciato dai sensi di colpa, il safari alla scoperta dei luoghi in cui la ex moglie ha vissuto la sua giovinezza, una sorta di celebrazione delle radici della famiglia, può essere l’inizio di un futuro migliore. Ad aiutarlo trova l’amico di vecchia data Martin Battles (Sharlto Copley) ora ranger e guida turistica: sarà lui a condurli in un’area non visitabile dai turisti comuni, allontanandoli dalle distrazioni e permettendogli di godere della serenità di cui hanno bisogno. La regione però è oggetto di sempre più frequenti azioni da parte di crudeli bracconieri, impegnati nel massacro dei leoni per poterne rivendere i resti grazie ad un lucroso mercato nero. E’ una guerra aperta in cui alcuni degli stessi guardacaccia risolvono di farsi giustizia da soli e che, inevitabilmente, produce una tragedia. Un grosso esemplare maschio, sopravvissuto ad una battuta di caccia della notte prima, ha visto trucidare il suo intero branco e ha deciso di reagire spazzando via qualsiasi presenza degli umani dal territorio, evidentemente vedendo in essi i peggiori nemici. Nate, le sue figlie e l’amico Martin si stanno infilando a loro insaputa in quello che è d’improvviso diventato un campo di battaglia dove vige solo la legge della jungla.
Con Beast Baltasar Kormákur, pur essendo un regista islandese, si trova senza dubbio a suo agio con l’ambientazione africana di un film che sa essere avvincente. Il suo obiettivo ci rende partecipi dell’azione grazie ad un’inquadratura in costante movimento, che gira attorno ai protagonisti e li segue da vicino, tenendo il pubblico al centro dei pericoli. Moltissimi piani sequenza sono lunghi, senza stacchi, immergendo letteralmente gli spettatori nella vicenda.
La sceneggiatura di Ryan Engle (affascinato dalla furia animale, visto il precedente Rampage del 2018) è ben scritta anche se, in qualche caso, fanno capolino alcuni cliché già visti tante volte in pellicole di questo genere (i cellulari e le radio sono al solito inefficaci nella zona, tanto per dirne uno). Con una piccola dose di “sospensione dell’incredulità”, ad ogni modo, non ci troviamo di fronte ad una storia del tutto banale. La sete di vendetta del leone, per il quale più volte ci scopriamo a fare il tifo, è anzi motivata da quella che è una vera e propria denuncia sugli enormi danni che il bracconaggio illegale sta facendo nel continente africano. Se non ci fosse la spietata avidità umana, l’equilibrio naturale probabilmente potrebbe sussistere grazie a quel rispetto reciproco che, come invece ci mostra il personaggio di Martin, l’uomo e gli animali possono e sanno darsi.
Intrattenimento puro, dunque, ma non manca qualche interessante spunto di riflessione.
Massimo Brigandì