Questo è l’ombelico del mondo
«Lontano dal resto del mondo, ad un passo dall’Universo». Poetico quanto fantascientifico è il claim che accompagna il documentario firmato da Andrea Sorini dal titolo Baikonur, Terra, presentato in anteprima italiana al 38° Filmmaker Festival (sezione “Prospettive”) ad una manciata di settimane dalla première mondiale al Vancouver International Film Festival. Per chi conosce la location dove esso è ambientato è quanto di più azzeccato il cineasta milanese potesse scegliere. Trattasi, infatti, del Cosmodromo ex sovietico attualmente di amministrazione russa situato nel cuore del Kazakistan (a circa 200 km a est del lago d’Aral, distante circa 32 chilometri dalla città di Baikonur, nella zona centro-meridionale del Paese, a 560 km dal confine russo) dove tutto – anche la fede – sembra essere rivolto all’esplorazione dello spazio. Da qui sono partiti il primo Sputnik nel 1957 e la leggendaria missione di Gagarin pochi anni dopo, ma è anche tristemente famoso per essere stato lo scenario della catastrofe di Nedelin del 24 ottobre 1960 (insabbiata fino al 1989), avvenuta nel corso dello sviluppo del missile intercontinentale sovietico R-16, che costò la vita a un centinaio di persone. Ad oggi, con il ritiro del programma americano dello Space Shuttle, è il primo, unico e più grande impianto di lancio operativo al mondo, in cui astronauti e cosmonauti di qualsiasi nazione vengono lanciati nello spazio per raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale.
Note storiche e geografiche a parte che non ritroveremo nel film sotto forma di materiali di repertorio, l’autore ci conduce in quel luogo così vicino al cielo nel periodo che precede il lancio di una missione Soyuz, incaricata di fare esperimenti sulla possibilità di vita nelle stazioni spaziali. Per farlo, Baikonur, Terra si muove su tre linee narrative ben precise che finiscono per convergere, dando forma e sostanza visiva e contenutistica all’architettura dell’opera. Un’architettura che prevede un passaggio di testimone da una linea all’altra e che è il risultato dell’incontro non conflittuale tra una fase di scrittura precedente alle riprese e un mix di lavoro sul campo e di inaspettato.
La prima è un’esplorazione fisica e antropologica dell’attuale topografia del cosmodromo, del centro abitato che lo circonda e di quel che resta di un tessuto urbano ormai sempre più simile ad una gigantesca cattedrale nel deserto, la cui superficie ha impressa su di sé i segni, i paradossi e le cicatrici del passato: dalla Guerra Fredda alla tanto celebrata corsa allo spazio (anche cinematograficamente parlando e seguendo traiettorie diverse con i recenti First Man di Damien Chazelle e Lajko – Gipsy in Space di Balázs Lengyel), passando per l’impatto della tecnologia sulla natura che ha desertificato buona parte dell’immenso lago Aral. E qui centrale è il ruolo della macchina da presa nel restituire sullo schermo con straordinaria efficacia (da sottolineare la fotografia di Gabriele De Paolo e il lavoro del regista stesso in macchina, a cominciare dai timelapse) tanto le simmetrie quanto il corpus di “nature morte” di ciò che rimane di una presenza quasi ectoplasmatica e di uno “scheletro ” in rovina piantato nel mezzo di panorami surreali. In tal senso, la mente torna per approccio e sguardo al modus operandi con il quale Massimo D’Anolfi e Martina Parenti hanno forgiato il loro Materia oscura, nel quale si parla degli esperimenti bellici delle forze armate nel territorio del poligono sperimentale del Salto di Quirra in Sardegna e delle relazioni degli abitanti del luogo. Le immagini, in tal senso, tanto quanto il sound design sono in Baikonur, Terra il cuore pulsante di una confezione di grande effetto, sporcata nel suo disegno complessivo dalla presenza dei posati delle persone incontrate lungo il viaggio che appaiono a conti fatti superflui, fine a se stessi da un punto di vista prettamente estetico e soprattutto didascalici nella trasmissione delle informazioni. In seconda e terza istanza si porta poi avanti un discorso sull’uso attuale del centro spaziale e sulla preparazione con conseguente lancio di un razzo con equipaggio diretto verso la ISS. E anche qui si materializza sullo schermo con altrettanta efficacia il crocevia tra passato, presente e futuro, laddove si progetta e si coltiva ancora un’idea di colonizzazione lontana dal nostro Pianeta.
Baikonur, Terra è un tour affascinante che percorre rotte e spazi ormai vuoti che Sorini riempie di volta in volta con pregevoli soluzioni visive e con una narrazione essenziale che si alimenta di immagini e suoni. Sta qui la bellezza di un documentario che racconta mostrando.
Francesco Del Grosso