Giochi di potere e di sesso
Arriva un certo momento in cui attrici di comprovata esperienza, popolarità e una lunga carriera alle spalle, decidono di mettersi una volta per tutte in gioco per esplorare corde mai toccate prima, mostrare nuove versioni di sé rispetto all’immaginario e alla visione che il pubblico e gli addetti ai lavori hanno di loro o per indossare i panni di personaggi in grado di spingerle oltre i propri limiti. Così a una rediviva Demi Moore alle prese con la controversa ed estrema performance nel body horror di Coralie Fargeat, The Substance, ha fatto seguito recentemente anche la collega Nicole Kidman nel provocatorio e audace Babygirl di Halina Reijn, con il quale ha confermato di essere un’artista e una diva non banale e sempre aperta alla ricerca e a sfide rischiose. Una scelta, quella di prendere parte alla pellicola della regista olandese, che almeno per quanto la riguarda le ha dato ragione vista la candidatura ottenuta ai Golden Globe Awards e la vittoria della Coppa Volpi all’81esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte cinematografica, laddove la pellicola è stata presentata in anteprima mondiale.
Purtroppo per l’attrice australiana non è arrivata invece la sesta nomination all’Oscar, ma la concorrenza del resto era piuttosto spietata e si dovrà consolare ancora una volta con il ricordo della statuetta vinta con The Hours, la cui interpretazione resta per quanto ci riguarda una delle migliori in assoluto della sua vastissima filmografia. Quella in Babygirl, pur se di altissimo livello e particolarmente coraggiosa dato il coefficiente elevato di difficoltà richiesto, è senza ombra di dubbio il punto di forza sul quale si poggia invece un’opera come vedremo fragile strutturalmente e narrativamente. La sua efficace performance nei panni di una potente donna d’affari che mette a repentaglio la sua vita professionale e personale nel momento in cui intraprende una relazione segreta e intensa con il suo giovane tirocinante, non basta a tenere a galla sulla soglia della sufficienza un film che avrebbe avuto tutte le carte in regola per ben figurare e lasciare il segno. Dietro il suo spirito dichiaratamente provocatorio c’è l’altrettanto chiaro e lodevole intento di rinfrescare il genere del thriller erotico degli anni Ottanta e Novanta (da Basic Instinct a Proposta indecente, da Sliver ad Attrazione fatale, passando per Rivelazioni) secondo una prospettiva contemporanea, integrandolo con i temi del femminismo, della parità di diritti e delle molestie sul lavoro. Tentativo, questo, che la regista e a sua volta attrice di Amsterdam aveva già provato a fare ai tempi del debutto dietro la macchina da presa con l’altalenante Instinct – Desiderio pericoloso, che suo malgrado aveva messo anche in quell’occasione in evidenza le medesime carenze e fragilità nella scrittura, salvo tamponare la situazione come accaduto pure con Babygirl con la bravura degli interpreti e la qualità della confezione, dove spicca l’ottima fotografia di Jasper Wolf, perfetta quando l’atmosfera si fa bollente e si tratta di trasferire sullo schermo immagini cariche di sensualità e morbosità come quelle dentro e fuori dalle lenzuola. La mente in tal senso torna alla carica erotica di The Undoing.
I modelli citati però diventano un miraggio quando l’anima e le reference chiamate in causa entrano in rotta di collisione con l’incoerenza della resa e si scontrano con quanto lontano portato sullo schermo. La Reijn infatti finisce con il tradire il tutto a favore di una chiave grottesca che prende il sopravvento su tutto, stemperando e depotenzializzando le argomentazioni scivolose, attuali e dal peso specifico rilevante, chiamate in causa attraverso le quali si voleva raccontare le logiche del potere tra fantasie ed abusi di una relazione sessuale. Peccato che gran parte delle intenzioni restino tali e non trovino le giuste corrispondenze. E ciò fa di Babygirl un vorrei ma non posso, o meglio un non riesco che lascia solo l’amaro in bocca e un gusto di latte (vedere il film per capire) andato a male.
Francesco Del Grosso