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Azul

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VOTO: 8

Lottare per due

Emilio Martínez-Borso ha fatto il suo ingresso ufficiale nel cinema nel 2000 come assistente alla regia e lo ha fatto dalla porta principale lavorando a grosse produzioni internazionali The Perfume, Green Zone, The Dictator, Exodus e Tomorrowland. Film, questi, che gli hanno dato la possibilità di crescere e formarsi con registi del calibro di Paco Plaza, Jaume Balagueró, Daniel Monzón, Tom Tykwer, Paul Greengrass, Brad Bird e Ridley Scott. Da quegli esordi nelle vesti di assistente sono trascorsi oltre vent’anni, anni in cui il regista spagnolo ha diretto dei cortometraggi pluridecorati come la commedia A.G.N. e il documentario Sin Collar, vincitori di numerosi riconoscimenti nel circuito festivaliero. In attesa di vederlo all’opera sulla lunga distanza in un’opera prima attualmente in lavorazione, Martínez-Borso ha continuato ad affinare la sua tecnica esercitandosi sulla breve firmando un nuovo cortometraggio dal titolo Azul, presentato in concorso alla quinta edizione del Pop Corn – Festival del Corto.
Qui racconta la storia di Lydia, una lottatrice di Muay Thai che qualche giorno prima della sfida per il titolo europeo si trova a fare i conti con un dilemma inaspettato che la porterà a prendere una scelta che la costringerà ad affrontare il suo peggiore rivale fino a quel momento… se stessa. Ma la sinossi che accompagna lo short svela solo in parte quella che è la vera natura dell’opera. Chi si aspetta un film interamente focalizzato sulla componente sportiva, nello specifico ambientato nel mondo della thai boxe, dovrà rivolgersi altrove, ossia a tutta quella filmografia e serialità che da i capitoli di The Protector e Ong Bak, transitando per A Prayer Before Dawn e Chok Dee, arriva sino alla più recente docuserie Netflix dal titolo Hurts Like Hell. Piuttosto siamo più sulle tracce del biopic Goodbye Darling, I’m Off to Fight, il documentario nel quale Simone Manetti ha raccontato l’esistenza dentro e fuori dal ring della campionessa di Muay Thai ex modella e attrice Chantal Ughi. Qui il regista toscano ha scandagliato privatamente e pubblicamente l’esistenza della protagonista offrendo allo spettatore un controcampo. Lo stesso modus operandi adottato dal collega iberico nel suo cortometraggio.
Passando attraverso gli stilemi dello sport-drama che usa come spinta propulsiva per dare forma e sostanza al plot come nel caso del Million Dollar Baby di Clint Eastwood, Emilio Martínez-Borso allarga gli orizzonti narrativi e drammaturgici del racconto di Azul al dramma umano e ad altri temi come la seconda chance vista come strumento di riscatto personale, la libertà di scegliere e il desiderio di maternità. Temi, questi, per i quali la protagonista si trova a combattere dentro e fuori dal ring in un match nel quale in gioco non c’è solo una cintura, ma la vita nel vero senso della parola. La posta è quindi altissima e la sconfitta potrebbe essere doppia, motivo per cui i dodici minuti a disposizione del cineasta spagnolo diventano una partita a poker con un all in sul piatto più che un incontro di boxe tailandese valido per un trofeo.
Immerso in un bianco e nero reso ancora più drammatico dai forti contrasti, Azul colpisce il cuore del fruitore aumentandone i battiti grazie all’aumento progressivo del ritmo negli ultimi minuti, che si fa sempre più martellante ed emozionante. Ne segue un epilogo che costringe chi guarda a trattenere il respiro, per poi tornare a galla e riprendere fiato dopo un’apnea. Merito anche dell’intensa e coinvolgente interpretazione di Iris Alejandro Orellana, che davanti la macchina da presa regala all’opera, al suo personaggio e alla platea una performance che fa della fisicità e della sofferenza il punto di forza.

Francesco Del Grosso

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