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Arianna

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VOTO: 7.5

Nascere tre volte

Per il suo esordio dietro la macchina da presa sulla lunga distanza, dopo un proficuo percorso nel cortometraggio e nel “mondo” dello spot & clip nelle vesti di produttore e regista, Carlo Lavagna sceglie di portare sul grande schermo un breve e intenso romanzo di formazione del quale ci vengono offerte le ultime e importantissime pagine, quelle rivelatrici. Lo spettatore di turno si trasforma di fatto in un lettore al quale è concesso il privilegio di sfogliarne i capitoli finali, quelli che restituiscono la misura del tutto, quel tutto che coloro che decideranno di vedere il film scopriranno insieme alla protagonista, una diciannovenne che per motivi a lei sconosciuti non ha ancora avuto il primo ciclo mestruale. L’estate trascorsa in compagnia dei genitori prima e da sola poi in un casale sul lago di Bolsena, dove era cresciuta sino all’età di tre anni, diventa l’occasione per scoprire quelle verità sino ad allora taciute, verità che riaffiorano sulla spinta di antiche memorie che tornano lentamente a galla. Il suo nome è Arianna, lo stesso con il quale il cineasta ha voluto battezzare la sua prima “creatura” cinematografica, presentata in concorso alle Giornate degli Autori nell’ambito della 72esima edizione della Mostra di Venezia, precedendo l’uscita nelle sale a partire dal 24 settembre con l’Istituto Luce.
Apparentemente si tratta del solito coming of age che disegna sullo schermo la linea di transizione che separa l’adolescenza dalla maturità, quella che si accinge a oltrepassare il personaggio di turno, ma chi avrà modo di vedere Arianna si troverà a confrontarsi con qualcosa che prova a spingersi, a nostro avviso riuscendoci, più in là. Temi come la ricerca dell’identità esistenziale e soprattutto sessuale, l’ingresso nel mondo degli adulti segnato dalle angosce e dall’educazione sentimentale, percorrono anche in questa occasione la strada tortuosa dell’accettazione, di pari passo con il desiderio di scoprire il proprio corpo nel momento stesso in cui questo sta cambiando (osservato sempre senza morbosità anche nei momenti più intimi), per cui una storia come quella raccontata da Lavagna non poteva sottrarsi agli schemi classici di riferimento. Di conseguenza, affinità elettive con una pellicola analoga di recente produzione come potrebbe essere Più buio di mezzanotte sarebbero almeno sulla carta all’ordine del giorno, ma il susseguirsi della narrazione rivela al fruitore un qualcosa che ha nel suo dna drammaturgico ulteriori stratificazioni. Queste trovano posto insinuandosi fra i tasselli di un mosaico audiovisivo che va via via componendosi, in silenzio, con un lavoro continuo e progressivo di elementi che vanno ad aggiungersi sulla timeline. Questo modo di costruire è figlio legittimo di una scrittura fatta in punta di matita, con un tocco leggero e mai marcato, che si concretizzerà anche nella messa in quadro (molta camera a mano e pedinamenti), nel disegno dei personaggi, nel lavoro davanti alla cinepresa degli interpreti (bravissima Ordina Quadri nei panni di Arianna, ben supportata dal duo Popolizi-Carnelutti in quelli dei genitori), nella loro attenta direzione e soprattutto nella concatenazione degli eventi che darà vita a una sorta di thriller minimalista delle emozioni.
Ciò che potrebbe apparire come il nulla, al contrario si rivelerà il molto, quello che sembra dire troppo poco, è invece a conti fatti il risultato di uno svelare che deflagra negli ultimi minuti, restituendo il senso. Siamo pronti a scommettere che molti addetti ai lavori di fronte a un epilogo come questo non faranno altro che etichettarlo brutalmente e sbrigativamente come il solito spiegone. Per noi suona, invece, come una chiusura del cerchio, che mette Arianna faccia a faccia con quello che è stata, con quello che sarebbe potuta diventare e quello che ora ha finalmente scoperto di essere. Il suo destino, ossia quello che qualcuno ha scritto per lei, è quello di essere nata tre volte, ma solo dopo aver visto il film potrete capire come.

Francesco Del Grosso

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